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L’approvvigionamento del sale per Roma, almeno fino all’era moderna, ha rappresentato un problema non da poco: prezioso e utilissimo, il sale era l’oro bianco dell’antichità e una città come Roma aveva bisogno di trasportarne entro le mura enormi quantità.
Fondamentale sin dal Neolitico per conservare a lungo gli alimenti come carne e pesce in assenza di ghiacciaie e frigoriferi, il sale per le antiche civiltà del Mediterraneo era così importante che parte della paga dei soldati romani, sotto Anco Marzio, era costituita proprio da una quantità di questo condimento che oggi diamo tanto per scontato: di qui il termine salario per indicare la retribuzione del lavoro. Le grandi saline a evaporazione solare erano la fonte principale di questo prezioso composto chimico: nel VII secolo a.C. i Romani vennero alle armi con i Veienti, popolazione che abitava il tratto di costa alla destra della foce del Tevere, per prendere possesso del Campus Salinarum da questi controllato presso Ostia. In età imperiale le saline divennero proprietà personale dell’imperatore, che le concedeva in affitto ad appaltatori e privati. Non è un caso che al centro delle grandi arterie commerciali del passato ci fosse il commercio del sale: i romani costruirono appositamente per questo scopo la via Salaria, una delle più antiche strade consolari dell’Urbe. Lunga centotrentotto miglia, la via Salaria collegava le saline del Piceno (Castra Truentinum) a Roma, attraversando l’Appennino: a metà dell’arteria, ancora oggi esiste la pietra miliare che indicava il milium LXVIII, riportante l’incisione “IMP. CAESAR. DIVI….. F. – AUGUSTUS (COS. XI). TRIB (U. POTEST. VIII. EX. S. C.) LXVIIII.” Nell’antica Roma il sale veniva impiegato non solo in cucina, ma anche in medicina, per la concia delle pelli, in metallurgia. Inoltre, poiché era un genere di lusso, il sale era considerato sacro proprio in quanto indispensabile alla vita e, perciò, offerto in dono agli dei e largamente adoperato nei riti di purificazione o cosparso sugli animali da immolare in sacrificio.
Dai tempi dei romani e per tutto il Medioevo, il sale continuò ad arrivare in città risalendo il Tevere su barconi che attraccavano nei pressi di Riva Marmorata. Dal IX secolo le saline sulla riva destra del fiume furono chiamate Campo Maiore o Campo Salino, mentre quelle poste sulla riva sinistra vennero chiamate Campo Ostiensi. Dopo la grande piena del Tevere del 1557, fu spostata la Dogana Pontificia a Tor San Michele ed in prossimità fu fatto costruire un nuovo Magazzino del Sale, in sostituzione a quello quattrocentesco troppo vicino al meandro del Tevere inghiottito dalle acque. Le saline di Ostia Antica erano la fonte del sale convogliato a Roma: sorgeva lì il cosiddetto Casalone, edificio ancor esistente a Ostia Antica e usato come magazzino per il sale sin dal Trecento. Il controllo delle attività di produzione e trasporto del sale fu una fonte di reddito molto sostanziosa per la Curia Pontificia sino al XIX secolo, quando, una volta perso il dominio territoriale di Roma e dello Stato della Chiesa, non poté più riscuotere l’imposta sul sale. Dopo aver percorso controcorrente il fiume su barconi trainati da buoi, i sacchi di “oro bianco” venivano caricati su dei carretti su per Via delle Saline, fino ai Magazzini del Sale dell’Aventino.
Un edificio rustico, ad un solo piano, tra Via Salara e Via di Porta Leone: era questa l’Osteria della Salara. Situata in un punto strategico e di passaggio obbligato per i lavoratori della catena di trasporto del sale, l’osteria era un approdo sicuro per chiunque passasse davanti al tabellone con i prezzi del vino al litro esposto fuori sull’insegna, che recitava: “Vino e cucina della salara”. Proprio dirimpetto a questa, c’era la targa marmorea affissa sul portone rinascimentale dei Magazzini del Sale di Ripa Marmorata con incisa l’epigrafe: “Omnium rerum vicissitudo est” (Tutte le cose cambiano). E cambiarono anche per i Magazzini: all’inizio del Novecento tutta l’area dove oggi sorge Piazza dell’Emporio venne demolita, osteria compresa, portandosi dietro le tracce di una storia “salata” rimasta invariata per millenni.
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