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Il fritto della tradizione romana che fa impazzire turisti e autoctoni ha avuto un’evoluzione insospettabile negli ultimi cinquant’anni. Vediamo insieme un po’ di storia di questo piccolo capolavoro culinario.
Come per ogni definizione che si rispetti, partiamo dall’etimologia del nome. “Supplì” non è altro che la contrazione nata dalla progressiva storpiatura italianizzata del termine francese surprise, cioè “sorpresa” Sarebbero stati i soldati francesi a iniziare a chiamare in questo modo la crocchetta fritta che, una volta aperta, rivelava la sua sorpresa, appunto, cioè un ripieno di riso al sugo di fegatini di pollo (nella ricetta antica, oggi si preferisce un normale ragù di carne macinata). Purtroppo, non abbiamo a nostra disposizione fonti certe e ufficiali su come sia nata questa specialità rustica capitolina, ma l’ipotesi più plausibile ne collega l’origine all’arrivo delle truppe napoleoniche a Roma, nel 1809. Possiamo provare a risalire ulteriormente i passi di questa tradizione culinaria seguendo a ritroso il percorso di Napoleone: nel 1805, quattro anni prima di giungere a Roma, le milizie francesi avevano occupato il Regno di Napoli. Qui, la lunga dominazione borbonica aveva favorito una contaminazione tra la cucina partenopea e quella siciliana, dove l’antichissima introduzione della coltura del riso (furono gli Arabi a importarlo per primi sull’isola) permise la nascita del fratello maggiore del supplì e della pall ‘e ris napoletana: l’arancina o arancino. Ricordiamo però che prima di diventare “supplì”, questa dorata squisitezza ha subito svariati cambi di nome: entrato velocemente nel vocabolario cittadino con “surprise”, da surprisa è diventato supprisa poi supprì e infine al maschile supplì.
La prima testimonianza scritta dell’esistenza del supplì risale al 1847: è indicato con “la soplis di riso” nel menu della Trattoria della Lepre in via dei Condotti, amatissima da scrittori e intellettuali come Gogol e Melville. Tuttavia, la soplis era principalmente una pietanza di strada, servita per le strade della città eterna dai “supplittari”, gli ambulanti che giravano con un calderone colmo d’olio bollente e friggevano le crocchette sul momento. Tra i grandi estimatori di questo street food d’altri tempi si può annoverare addirittura James Joyce, come confessò lo scrittore stesso in un’intervista del 1927 rilasciata alla collega Sibilla Aleramo ricordando il suo primo soggiorno romano. Certo, il supplì come lo gustiamo oggi non era lo stesso amato dallo scrittore irlandese: secondo la ricetta di Ada Boni, pubblicata nel 1929 nel libro La cucina romana, il ripieno è molto vario e “più ricco o meno ricco, secondo l’opportunità”: l’autrice cita rigaglie di pollo cotte nel sugo e nello strutto, funghi secchi e carne in umido tritata. Il pomodoro e la mozzarella filante non sono ancora contemplati come varianti della preparazione del supplì e lo stesso riso è solo condito con il ripieno ma non prevede risottatura, sarà infatti solo negli anni Cinquanta che la ricetta verrà rimaneggiata e portata a quella odierna.
Tuttavia, sarebbe errato dire che esista una ricetta univoca e definitiva del supplì: vanno costantemente aggiungendosi differenze, sperimentazioni e varianti, di anno in anno e di ristorante in ristorante. Esistono supplì al ripieno di carbonara e cacio e pepe, supplì vegetariani senza carne, supplì “in bianco”, all’amatriciana, al basilico… Certo, il caro vecchio supplì al telefono, ricetta non antica ma diventata classica, è sempre squisito. Il buffo nome che spesso compare come dicitura completa in alcune rosticcerie deriva proprio dal fatto che, quando si dà il primo morso, la mozzarella filante all’interno del ripieno unisce le due metà della crocchetta, collegandole tra loro come il filo del telefono alla cornetta.
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