“Po esse”, la frase dei dubbiosi
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Proprio così, a culo nudo, dando origine probabilmente a una delle maggiori umiliazioni che siano mai esistite, che grazie (o a causa) dell’impero romano si è diffusa in tutta Europa. Vediamo però come nasce il detto “pietra dello scandalo” e in cosa consisteva.
La legge per i romani era sacra si sa e raramente non la si faceva rispettare. Il foro, aperto tutti i giorni, era sempre pieno di casi da gestire e di decisioni da prendere. Alcune delle leggi dei romani erano molto dure come quella antica, inscritta nelle leggendarie Dodici Tavole della legge che prevedeva per il debitore insolvente la riduzione in schiavitù, la vendita come schiavo da parte del creditore per poter recuperare i propri denari, essere tagliuzzato (cioè proprio asportare dei pezzi dal proprio corpo, cosa probabilmente più atroce di tutte) o arrivare all’uccisione. Delle leggi dunque che mettevano bene in guardia le persone dal fare dei debiti che poi non sarebbero stati in grado di ripagare, ma che allo stesso tempo, all’età di Giulio Cesare era diventata fin troppo ferrea. La società romana arcaica si era evoluta infatti e anche il giro economico degli affari era diventato esponenzialmente più grande e quindi il rischio di uccisioni di questa portata era diventato sempre più alto. Così Giulio Cesare decise di cambiare questa legge, inserendo una nuova norma che può riassumersi in questa frase latina:
bonorum cessio culo nudo super lapidem
La traduzione letterale della norma latina è: “cessione dei beni a natiche denudate sopra una pietra”, ma cosa significa questo? Dal I sec. dopo Cristo a Roma chiunque non potesse ripagare più i suoi debiti e volesse dichiarare il proprio fallimento doveva dare luogo ad un rito ben preciso. In prima istanza doveva salire sul colle del Campidoglio, dove, vicino alla porta maggiore era posizionata una pietra con sopra raffigurato un leone. Una volta arrivato lì non doveva far altro che gridare cedo bona ovvero “abbandono tutti i miei beni” e lasciarsi cadere culo nudo super lapidem, “a culo nudo sopra la pietra2. Da quel momento in poi il debitore insolvente non poteva più essere perseguito ma allo stesso tempo perdeva nei confronti della popolazione di Roma, tutta la sua credibilità. Inoltre si annullavano anche alcuni suoi diritti da cittadino romano, come quello di testimoniare in giudizio a favore o contro qualcuno. Ecco perché quella pietra con raffigurato un leone sopra a Roma veniva chiamata lapis scandalis, “pietra dello scandalo”.
Ma questo rito, che si è mantenuto nei secoli e anche in altre città, come vedremo, ha probabilmente dato origine anche ad altri modi di dire, come: finire con il culo/chiappe a terra e sculato. L’origine del primo è facilmente intuibile e descrive proprio l’atto di questo antichissimo rito romano; il secondo invece ne riprende origine e dà l’idea di una botta di fortuna, arrivata proprio pochi momenti prima di finire con le chiappe a terra, quindi sculato!
L’estensione dell’impero romano in tutta Europa e in tutto il mediterraneo ha permesso la diffusione di alcune pratiche in diverse località. Questa qui si è particolarmente diffusa in tutta Italia e nelle leggi medievali fiorentine o modenesi troviamo ancora questo tipo di pratica. A Firenze infatti, quando un mercante falliva, per dichiararsi insolvente doveva recarsi sotto la loggia dei Mercanti e farsi cadere con le brache abbassate su un tondo di marmo bianco e verde urlando: ostendendo putenda, et percutiendo lapidem culo nudo ovvero “mostro le mie natiche e sbatto con il sedere nudo sulla pietra”. A Modena invece bastava sedersi su una determinata pietra e urlare: cedo bonis, “abbandono i miei beni”. Insomma una pratica veramente umiliante che è resistita nei secoli e che si è protratta fino in epoca medievale e che forse, è stato bene perdere come tradizione.
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