“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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È indole non c’è niente da fa, quanno un romano se mette a tavola nun vole avé gatte da pelà o pensieri troppo pesanti; quello è il momento della pace sia individuale sia con le altre persone e per questo nell’antica Roma c’era una festa apposita!
È proprio così, nell’antica Roma, come già abbiamo scritto, dal 13 al 21 febbraio si tenevano i Parentalia, la festa in onore dei defunti. Durante questi giorni infatti si svolgevano diversi riti che cercavano di assicurarsi la benevolenza dei Lari, gli dei domestici che impersonificavano gli antenati di ogni famiglia. Secondo voi finita ‘sta festa i romani erano contenti? Maddeche! Agli antichi romani piaceva molto festeggiare e rendere omaggio alle proprie tradizioni tanto che non gli bastavano 9 giorni consecutivi di festa e chiusura di tutte le possibili attività quotidiane, ce mettevano pure er carico e il 22 di febbraio festeggiavano i Caristia o anche detti Cara Cognatio o Cognatorum. No non c’entrano niente i cognati, quanto piuttosto centra proprio tutta la parentela!
Dopo aver mangiato e brindato in onore dei morti infatti, il 22 febbraio era il tempo de magnà e beve con e per i vivi! Si richiamavano allora tutti i parenti possibili e immaginabili per portarli a Roma e qui, ogni nucleo familiare, festeggiava dentro la propria casa i Caristia, la festa della Concordia. Non era come oggi però che invitiamo solo i parenti più simpatici o quelli che ci pare a noi, no! Le regole erano ferree e dicevano che andavano chiamati tutti, ma proprio tutti, pure lo zio de terzo grado daa cugina de mamma che nun vedi da na vita e che nun vorresti manco incontrà pe’ strada; direte ma ci sarà un motivo per cui nun lo voglio vedè, me sta antipatico! E invece no, la festa questo diceva e così si doveva fare. Tutti ma proprio tutti seduti allo stesso tavolo, in cui si mangia e si beve e si parla amorevolmente; un po’ come succede per noi a Natale o a Pasqua. Be’ forse qualche volta ci dimentichiamo l’amore e qualche discussione ci scappa si sa, ma l’amore nun è bello…Per i romani poi, la famiglia non era solo composta dai parenti, compresi quelli più lontani, ma anche dagli schiavi e dai clientes, ovvero coloro con cui si era stretto un legame sociale molto forte.
Durante questo giorno, come nei precedenti nove erano interrotte tutte le funzioni sacre, come matrimoni e templi, ma anche gli affari erano rimandati al giorno dopo. Durante questo banchetto doveva esistere un’atmosfera gioiosa e simpatica e non si doveva in alcun modo affrontare alcun discorso che potesse portare discordia o discussioni, anzi, addirittura ci si scambiavano anche dei doni per testimoniare il clima di pace. Il poeta Ovidio, in modo ironico o forse no, afferma che nei banchetti che si preparavano per questa festa venivano addirittura chiamati dei paceri per sedare eventuali discussioni tra parenti; pensavano proprio a tutto ‘sti antichi. Oltre a non litigare infatti durante questa festa si cercava anche di porre fine a vecchie discussioni o casi di litigio presenti all’interno della famiglia. Le offerte che poi venivano destinate agli dei familiari – i Lari e i Penati – erano composte da grano, uva, favi, focacce, vino e incenso.
Questa festa sopravvisse per molto tempo, anche perché celebrava l’amore e la concordia in famiglia, due valori che anche la Chiesa predicava e cercava di diffondere all’interno della popolazione. Non fu immediatamente soppressa quindi e anzi, venne sovrapposta alla festa della sepoltura di San Pietro e San Paolo. Andando avanti nel tempo però, in un concilio del 567, la Chiesa dichiarò che questa antica festa pagana andava soppressa, proprio perché andava a profanare la ricorrenza cristiana. Durante questo giorno infatti si registravano canti, danze, c’era chi esagerava con il vino e il tutto, diciamo, mal si accordava con il ricordo della sepolture di due dei santi più importanti della Chiesa.
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