“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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Prima di essere un museo, prima di ospitare grandi opere contemporanee e grandi firme artistiche del Novecento: cos’era il MACRO prima di essere il MACRO?
Nel 1971 entrò in funzione, per la prima volta, un gigantesco complesso nei pressi di Porta Pia, progettato dall’architetto Gustavo Giovannoni. Ospitare gli stabilimenti del birrificio Peroni: questo doveva essere il ruolo di quella costruzione. E a testimoniarlo svetta ancora una targa (Società Birra Peroni Ghiaccia), situata sul lato di via Cagliari. Direte voi: “E cosa c’entra questo con la storia di un museo?“. Ebbene, quello stesso enorme edificio, sul finire degli anni ’80, venne acquistato dal Comune di Roma, con l’intento di farne la sede della Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea. Nessuno poteva immaginare non sarebbe bastato; nessuno poteva immaginare insufficienti quegli spazi. Eppure, la collezione comunale, raccolta in oltre sessant’anni, si rivelò ancor più gigantesca di quel luogo.
Dagli anni ’90 cominciarono allora i lavori di ristrutturazione e più tardi, affidati all’architetta francese Odile Decq, quelli di ampliamento (terminati nel 2010).
L’11 ottobre del 2002 fu comunque inaugurato il MACRO (acronimo di Museo d’Arte Contemporanea di Roma). E, qualche anno dopo, gli fu aggiunta persino una sede ulteriore, e distaccata, all’interno dell’Ex Mattatoio di Testaccio, sotto il nome di MACRO Future.
Rosso, nero, bianco, ferro, cemento e specchi vetrati disegnano ancor oggi il perimetro di questo bellissimo edificio, per chi vi si avventura; soprattutto, però, i percorsi appositamente progettati ne rendono la visita sempre diversa, sempre nuova, su misura a chi vi si addentra.
In oltre 600 opere, il MACRO fa di Roma anche una città aperta al moderno, non solo antica, non solo archeologica, non solo “la città del Colosseo“. E lo fa nei suoi 4.000 metri quadri dislocati fra sale espositive, un auditorium tutto rosso, il foyer e la terrazza; e poi tutta una serie di ballatoi, passaggi, ascensori a dar movimento alla struttura – e perché no? – alle opere che vi sono esposte. Principalmente, capolavori della seconda metà del XX secolo, firmati da personalità di spicco, di quell’epoca artistica, del calibro di Carla Accardi, Mimmo Rotella, Achille Perilli, Pino Pascali, Mario Schifano e altri, tanti altri, ad intervalli di ultimissima generazione (vedi le opere di Marco Tirelli o di Enzo Cucchi).
A dirigere le scelte, la disposizione e le novità, dal 2020 e fino al 2022, il direttore artistico Luca Lo Pinto.
Vi segnaliamo, infine, dall’11 novembre al 27 febbraio 2022, la mostra Chi ha Paura della poetessa bolognese Patrizia Vacinelli, militante nel celebre Gruppo ’63. L’intento del MACRO di approfondire l’importanza della sperimentazione linguistica e poetica. Una forma d’arte, anche quella: l’uso delle parole.
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