I colli di Roma non sono 7 ma molti di più
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Che il mondo dei vivi fosse connesso al mondo dei morti era noto anche agli antichi romani, ma l’idea che al Colosseo ci fosse una porta verso l’inferno cominciò a farsi largo preminente durante il Medioevo, vediamo insieme perché!
Gli antichi romani credevano che il mondo dei morti fosse, in qualche misura, legato con il mondo dei vivi. Un’immaginario, tanto più tremendo se pensiamo che, all’oltretomba cominciò a corrispondere, in tempi successivi e con la diffusione del cristianesimo, il terribile mondo dell’inferno. Un luogo di pena, per le anime dei peccatori, consistente sia nella privazione del Regno di Dio; sia in punizioni e continui tormenti morali e materiali. Secondo alcune dicerie del Medioevo, esistevano sette porte, per raggiungere quel tremendo spazio, ed una di esse era al centro di Roma, incastonata tra le mura di uno dei monumenti più simbolici della capitale, dall’antichità ad oggi, nonché meta turistica ogni anno di migliaia di visitatori. Stiamo parlando dell’Anfiteatro Flavio, meglio noto con il nome di Colosseo.
(Fonte: Italiani.it)
Ma perché cominciò a diffondersi questa credenza? Da che cosa era dettata? Una sola era la risposta, per i nostri antenati: quella particolare arena accoglieva, tra i suoi archi e i suoi sotterranei, le anime dei gladiatori che, morti brutalmente, non riuscivano a trovare il riposo eterno, vagandovi incessantemente e in piena notte, nelle vesti di spaventosi fantasmi. Una leggenda, è vero, che però cominciò ad accostarsi a fatti tutt’altro che fantasiosi, riguardanti proprio questa incredibile vestigia romana.
Stando alle testimonianze storiche, il Colosseo era infatti formato da due porte principali. Una era la Triumphalis, a nord-est, porta d’accesso all’arena per gladiatori e animali; l’altra era la Libitinensis, porta consacrata alla dea Libitina, madre del passaggio verso l’aldilà. Ora, subito dopo quest’ultima, si apriva un terribile spazio, il cosiddetto Spoliarium, in cui solitamente i gladiatori moribondi venivano trascinati e spogliati delle loro armature.
(Fonte: I due sarchiaponi)
Una pratica, questa, assolta principalmente da tre schiavi che, un po’ come Caronte, si facevano traghettatori di quelle anime verso l’aldilà. Anche allora era particolarmente in voga la concezione secondo cui l’anima di chi moriva, in modi piuttosto spietati, continuasse a vagare senza posa laddove aveva vissuto i suoi ultimi istanti. Ad aumentare, poi, la percezione del Colosseo, come porta dell’inferno, si aggiunsero più tardi le orde dei briganti, di cui si fece covo prediletto. Le loro vittime, senza alcuna distinzione (uomini, donne, viandanti, monaci, pellegrini e chi più ne ha più ne metta), trovavano sepoltura, infatti, sotto la sua sabbia, e c’è pure chi sostiene si trattasse di persone ancora vive. Nulla di più macabro, per nutrire l’opinione di quella connessione spiritica che, piano piano, cominciava a prender piede tra le fila della gente.
Come se non bastasse, non molto tempo dopo il Colosseo si trasformò in un punto di ritrovo, per streghe e cartomanti. Questo perché, a quanto pare, entro le sue mura crescevano numerose erbe, i cui semi – si credeva -potessero avere potentissimi benefici e provenissero dal lontano Oriente. A tal proposito, proprio da una faccenda di stregoneria nacque (sembrerebbe) il nome Colosseo. Secondo una leggenda, il nome cominciò a circolare in virtù di una domanda che gli stregoni erano soliti rivolgere agli eventuali adepti: “colis eum?”, ovvero “lo adori?”, in riferimento al diavolo e alla magia nera.
(Fonte: Immagini e sfondi)
Insomma, la credenza sul misticismo di questo luogo e il suo legame con l’oscurità e l’inferno, di fatto, diventò sempre più forte, per il popolo di Roma, tanto che, uno scultore del ‘500, tale Benvenuto Cellini, autore del Perseo con la testa di Medusa collocato a Firenze in Piazza della Signoria, costrinse un monaco a invocare gli spiriti, ospiti nel Colosseo, per restituirgli la sua bella amata dal mondo dei defunti. Come mostra un racconto, presente nella biografia dell’artista, che ricorda la vicenda non solo come lunghissima, ma come causa di parecchi risvegli, «di modo che il Culiseo ne era tutto pieno».
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