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Cosa sono i mazzamurelli? E che genere di storielle si raccontano su di loro? Sono vere? Puoi scoprirlo soltanto leggendo questa suggestiva credenza romana!
Leggenda o verità? È questa la prima domanda da porsi di fronte al termine Mazzamurelli. Ma perché? Chi erano?
A Trastevere, nei pressi della piccola Chiesa Settecentesca di San Gallicano, campeggia ancor oggi una targa in loro onore. Pensate che furono così importanti, per il popolo di Roma, da dedicargli il nome di una stradina, appunto il vicolo di Mazzamurelli.
Tutto risale al VI secolo, quando si sparge in giro la voce dell’esistenza, a Trastevere, di una zona interamente abitata da curiosi spiritelli. Il racconto fa talmente breccia nell’immaginario popolare che le persone cominciano a deviare percorso, trovandosi di fronte a quella viuzza. E ancor di più, cominciano a tramandare oralmente (e trasformare ogni volta), di padre in figlio, la strana storiella folkloristica.
(Fonte: Trastevere App)
Nel corso nei successivi anni, poi, la leggenda anziché affievolirsi si fa sempre più spaventosa.
La questione si accentua, infatti, intorno a l’800, periodo in cui, come specificato in uno stradario romano dell’epoca, pare nel vicolo cominciò ad abitare un uomo piuttosto sospetto. Un tipo che, spacciandosi per mago e dando per vere le sue apparizioni metafisiche di demoni e di fantasmi, spinse la gente – già intimorita – ad eliminare anche soltanto il dubbio sulla verità o meno di quelle chiacchiere, quindi a non addentrarsi manco pe’ sbajo in quella via.
Ad uno sguardo poco più attento e preparato, però, salta subito all’occhio una certa affinità con quelle che erano credenze ben più vecchie di questa, databili al tempo degli antichi romani e, data la continuità, molto radicate. Dovete sapere che anche i nostri antenati amavano credere che qualcosa sopravvivesse alla materia, dopo la propria dipartita (teoria di probabile derivazione greca). In particolare, i romani lo definivano genius loci. E si trattava di un genio, un’anima, uno spirito: di qualcosa che nasceva sì col corpo, proteggeva l’individuo e lo accompagnava nella sua esistenza, ma non periva con esso, restando ad abitare, ed infestare in alcuni casi, lo stesso posto abitato “in vita”.
(Fonte: Google Arts & Culture)
Pian piano, il concetto di questa duplicità superstite si andò persino ad ampliare: il genio non aveva più solo il compito di proteggere il singolo, ma l’intera comunità. Non a caso, l’esempio della statua di Lare Farnese, nota dal II secolo come personificazione dello spirito dell’intera popolazione romana. Un essere che, insomma, veniva chiamato o dipinto sui muri (nella forma di un serpente), dagli stessi, per ingraziarsi la sua protezione. Si arrivarono addirittura a definire più differenze tra i geni e farli vivere di vita propria, in base alle loro caratteristiche e ai loro mestieri.
Esisteva, quindi, il genio lavoratore, il genio delle invenzioni, il genio costruttore, quello del vino e così via. Infine, esistevano i geni chiamati amorini: piccoli esserini furbacchioni simbolo del gioco e delle attività ludiche, tanto care ai nostri romani. Ed è su questi che è bene concentrare la nostra attenzione, perché col passare dei secoli, l’appellativo dato a questi spiritelli irriverenti cambiò tantissime volte, insieme alla loro natura che divenne divisa in due. Gli amorini, in sostanza, potevano sdoppiarsi in una parte buona e una che invece creava scompiglio e, in quest’ultima, potevano assumere svariati nomi: Baffardelli, Mazarul, Mamucchi e (N.B.) “Mazzamorelli“, nei panni di piccoli folletti dispettosi dal cappello rosso in testa.
Quelli del vicolo trasteverino, nello specifico, pare fossero indisponenti con tutti, fuorché con le belle donzelle di passaggio (marpioni!) che, al contrario, tendevano a proteggere e a corteggiare con misteriosi regali.
(Fonte: Vanilla Magazine)
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