La Chiesa del Domine Quo Vadis, un luogo spirituale dall’origine leggendaria
Hai mai visitato la Chiesa del Domine Quo Vadis? Situata sulla Via Appia Antica, questa piccola e affascinante chiesa custodisce una suggestiva leggenda:[...]
Il poeta romanesco Zanazzo, di Roma, tante cose ha visto e riportato, perfino d’un santaro incarcerato!
«Dice che ttempo fa cc’era un Santaro che annava, come fanno tutti li santari, vennènno li santi, le Madonne, eccetra eccetra, su li scalini de le cchiese indove c’era la festa, e strillava :
– Un bajòcco cinque santi, e ‘r papa aùffa!
L’affare passò lliscio per un pezzetto, insino a ttanto che nun diede sur naso ar Guverno.
Un ber giorno defatti er Santaro fu agguantato e mmesso in catorbia. E ddoppo che ce l’ebbeno fatto cantà per un par de mesate, un giorno fu arilassato in libbertà.
Lui, poveraccio, s’ariprese bbaracca e bburattini, e ss’arimesse a ffa’ de bber nôvo er mestiere; ma strillava sortanto :
– Un bajòcco cinque santi!
Quanto un giorno un forestiere (che ar Santaro che cciaveva er naso fino, je puzzò dde spia), je domannò
– E er papa auffa?
E llui j’arispose :
– Nun se frega er santaro.
E se messe subbito a strillà:
– Un bajòcco cinque santi!»
Di feste, Roma, ne avute sempre tante, pagane o religiose, ce lo confermano pure gli antichi. Quando le cerimonie erano dedicate a qualche Santo, però, appariva d’improvviso un santaro, ovvero un venditore di santi in cartolina, fuori dal portone della chiesa (chissà di quale chiesa, se dedicata a San Paolo o a San Pietro), un po’ come quelli che, appena fa du’ gocce, stanno pronti fori dalla metro a vende’ ombrelli.
(Fonte: Campioni Gratis)
Ovviamente, potete immaginare le vecchiette superstiziose, abituate al rosario tutti i giorni, quanto potessero essere attratte da questa usanza! Così, per lungo tempo, al posto di ometti pronti a rifilare accendini, giochi per bambini o repliche tascabili del Colosseo, a Roma s’aggiravano venditori ambulanti sui generis, anzi sui Santis, pronti a vendere “miracoli su carta“. Come spiega bene uno dei primi poeti romaneschi, Gigi Zanazzo, in questa tradizionale pratica tutto filava liscio, almeno finché non si toccava la figura del papa e la sua assoluta validità spirituale.
Quando uno di essi, infatti – racconta Zanazzo – cominciò a paragonare, ai santini, il potere papale, mettendo quest’ultimo in discussione, venne preso e messo in gattabuia. In particolare, dalla poesia, risulta chiaro che la figura del Santo Padre era stata “regalata a uffa“, della serie “paghi cinque e prendi sei“, in smacco alla sua utilità! E tuttavia, la regola tacita che aleggiava su Roma era sempre la stessa: toccate tutto, ma nun toccate er papa.
Ma chi andò a spifferare tutto quella volta? Non siamo sicuri di chi fu effettivamente, ma sta di fatto che, contro il povero Santaro, pare si schierò l’abate Cancellieri. Detto il bello Abate, Il 4 luglio 1807, scriveva infatti in una lettera indirizzata al barone Della Penna: «Onde son divenuto anch’io canonizabile, e da vendersi mezzo quattrino, giacchè tutti i cinque nuovi santi (quelli, cioè, canonizati poco più di un mese prima da Pio VII) si vendevano a un bajocco, e il Santissimo Padre Santo a uffa, di cui v’era pure il ritratto, come andava strillando per le strade uno spacciatore imprudente e temerario che fu giustamente arrestato». Che sia stato lui a fare la spia? Chi può dirlo! Possiamo, tuttavia, affermare con certezza che er papa era ‘npo’ come er cavaliere nero de n’artro Gigi, il celebre Proietti.
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