La Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami e la storia della sua confraternita
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Dite che c’è contraddizione? Dite che nun ce credete? E allora vi basterà uscire un attimo fori da casa vostra, dall’ufficio, mettervi un po’ ‘nfaccia a sto sole che illumina e scalda tutta la capitale…ora veniteci a dire che a Roma nun fa callo fino a ottobre! Oggi andiamo alla scoperta di un’antica tradizione capitolina, l’ottobrata!
Ottobre si sa, o almeno si sapeva fino a qualche decennio fa, quando la società era ancora legata ai tempi e alle tradizioni della civiltà contadina, è il mese della vendemmia. Dopo mesi di duro lavoro sotto i tendoni o lungo i filari della vite, dopo aver accudito con molta cura quasi ogni acino d’uva, l’agricoltore finalmente può raccogliere i frutti del suo lavoro e produrre del buon vino. Cosa c’è di meglio dunque di alcune giornate libere per festeggiare la fine della vendemmia e magari lasciarsi andare a qualche piccolo eccesso? Ecco come nascono le ottobrate romane!
Così fino agli inizi del ‘900, il giovedì mattina presto o nella giornata di domenica, era normale vedere partire da ogni rione di Roma moltissime persone, che si dirigevano verso le campagne che erano presenti all’interno della città o subito fuori Roma per svolgere la propria ottobrata. L’usanza non era tipica solo delle fasce più popolari – come si potrebbe immaginare -, ma anche delle classi più nobili che prendevano volentieri parte a questa tradizione; loro però, diciamolo, nun avevano mica lavorato pe’ campi come i contadini! Ma in quelle giornate questo non contava e usciva fuori il vero animo del romano, compagno di tutti, felice e allegro in un clima mangereccio e di festa.
Il luogo per eccellenza dove andare a fare le ottobrate era Testaccio, intorno al suo monte fatto di cocci; in alternativa si poteva andare anche nelle campagne appena fuori porta San Giovanni o fuori Porta Pia, nei prati subito dopo ponte Milvio o nelle vigne di Monteverde, insomma l’importante era stare insieme, mangiare i diversi manicaretti della cucina romana, come gli gnocchi, i gallinacci, ma anche la trippa e l’abbacchio. Durante la giornata poi i divertimenti erano diversi dal cantare gli stornelli e ballare al suono di chitarre, nacchere e tamburelli fino a giocare a bocce, a ruzzola, all’altalena o con l’albero della cuccagna, come racconta anche Giggi Zanazzo:
Siccome Testaccio stà vvicino a Roma l’ottobbere ce s’annava volontieri, in carozza e a piedi.
Arivati llà sse magnava, se bbeveva quer vino che usciva da le grotte che zampillava, poi s’annava a bballà er sartarello o ssur prato, oppuramente su lo stazzo dell’osteria der Capannone, o sse cantava da povèti, o sse se giôcava a mora
Come anticipato, dai rioni romani partivano fiumi di gente per dirigersi verso il luogo designato dell’ottobrata. Di solito si prendeva un carro, chiamato comunemente carettella su cui ovviamente salivano, oltre al guidatore, tutte le donne invitate all’uscita. Le ragazze erano tutte ben agghindate e vestite bene, con cappelli ricoperti di piume e di qualsiasi ornamento! Gli uomini invece facevano da “scorta” a questa carettella, seguendo a piedi, sempre vestiti di tutto punto, cantando e ballando canzoni corteggiando e facendo omaggi alle donne. Le ragazze presenti sul carro potevano essere 7 o 9 e colei che sedeva al fianco del carrettiere era nominata la bellona, le altre invece erano chiamate semplicemente minenti.
Fin quando si sono svolte le ottobrate a Roma si può dire, che questa tradizione era presa molto sul serio dai cittadini romani. Le persone che non avevano molto denaro da spendere per organizzare questa festa arrivavano anche ad impegnare dai gobbi (al monte dei pegni) alcune loro proprietà per assicurare lo svolgimento dell’evento. Negli ultimi anni di svolgimento di questa tradizione all’inizio del ‘900, alcune famiglie nobili romane aprivano anche le loro ville e organizzavano la giornata con giostre, esibizioni equestri, orchestre, gare atletiche fino ai palloni aerostatici. Una bellissima tradizione dunque, che ad oggi si è persa, ma che ancora sopravvive nel mite mese di ottobre e nelle calde giornate romane che ancora oggi si è soliti chiamare ottobrate.
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