A Roma, l'unità de misura la stabilisce er romano!
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Questo periodo continua a mettere al tappeto l’economia romana? I dati della ricerca svolta dal CNA sono spaventosi. Ce la faremo?
A Novembre 2020 si è conclusa l’indagine della CNA di Roma (Confederazione Nazionale dell’Artigianato), riguardante la situazione economica attuale delle piccole e medie imprese romane. I dati sono allarmanti, il Covid non smette di fare vittime. Stavolta, a fare i conti con la crisi sono i commercianti romani che rischiano di chiudere definitivamente. Le statistiche parlano chiaro: tante sono le attività commerciali, i negozi e le imprese di Roma che rischieranno la chiusura a causa dell’emergenza sanitaria e delle conseguenti restrizioni. E, in questo limbo, neanche chi è riuscito a sopravvivere al primo lockdown riuscirà facilmente a ricominciare, soprattutto se per “rincominciare” si intende a pieno regime.
(Fonte: Il Messaggero)
Questo perché, nel caso di affitti arretrati, dipendenti da pagare, materiali già ordinati ai fornitori e scorte di magazzino, il titolare non dispone di risorse a sufficienza. Insomma, la pace fiscale non è più procrastinabile, ammette la CNA di Roma che, per prima, lancia a gran voce l’allarme. Le aziende hanno bisogno di ossigeno e, per tornare a dare sostegno alle categorie sociali fortemente provate da questa nuova crisi, bisognerà intervenire in due direzioni. Da un lato sarà necessario concedere una tregua ai versamenti dell’IVA; dall’altro, erogare sostanziosi contributi a fondo perduto, utili a chi, fra le spese di ogni mese, deve spuntare la voce dell’affitto. Se infatti è vero che, negli ultimi mesi, è stata attuata la sospensione dell’IMU, è vero pure che la maggior parte dei piccoli e medi imprenditori romani non possiede i locali adibiti alle proprie attività! Dunque, la misura non tiene conto della sua applicabilità marginale.
Secondo Stefano di Niola, segretario della CNA di Roma, quanto emerso dalla ricerca, realizzata in collaborazione con SWG (ente predisposto alle ricerche di mercato), mostra quanto l’impatto della crisi generata dal Covid stia via via peggiorando, e oltre ogni possibile previsione. In particolare, durante questa seconda ondata, l’analisi prende in esame le interviste di circa 500 imprese romane. Di queste, solo un terzo dichiara di essere pienamente operativo, ammettendo comunque notevoli difficoltà di sopravvivenza. Le percentuali dello studio rendono noto che: il 16% delle imprese romane ha chiuso, o sta valutando la chiusura definitiva della propria attività; l’84% prevede un fatturato annuo significativamente inferiore rispetto a quello del 2019; e solo un 27% si ritiene soddisfatto degli interventi fin qui condotti. In altre parole, la maggior parte dei commercianti di Roma è in ginocchio e, per chi ancora non ha ancora abbassato la saracinesca, le condizioni sono tutt’altro che rassicuranti. Perciò, in un orizzonte simile, si rende di vitale importanza la riduzione o la sospensione di alcuni dei prossimi adempimenti fiscali: contributi previdenziali, versamenti dell’IVA e affitti.
(Fonte: Confcommercio Roma)
Alla domanda sulle misure preventive stanziate dal governo, per sostenere le attività più colpite dalla crisi, solo un’azienda su 4 ne dichiara l’efficacia e la reale utilità. Stiamo parlando di meno della metà delle imprese. Ditte che, per la maggior parte, contano su un discreto fatturato (fino 500.000 €) e che hanno tra le 2 e le 9 persone impiegate. Altro dato, questo, che fa riflettere. Perché, sebbene “invisibili” ad un primo sguardo, le implicazioni e le aggravanti di questi numeri non tardano ad arrivare. Ipotizzando per ognuno di quei dipendenti, infatti, un nucleo familiare, il numero delle persone danneggiate si amplifica, almeno del doppio. La perdita del posto di lavoro, spesso, non ha solo conseguenze per il lavoratore o la lavoratrice che la subisce, ma per ogni suo eventuale membro familiare. Eppure, quando si parla di licenziamento, poche volte è tenuto a mente l’eco che avrà. A maggior ragione se, a perdere il lavoro, è la categoria degli over 30. Ovvero, presumibilmente, di coloro che hanno investito già in una casa, sono accompagnati (o sposati) e potrebbero avere figli.
(Fonte: La Repubblica)
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