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L'Incendio di Roma, un fatto epocale tramandato tra dubbi e dati storici

foto di: Immagini prese dal web

Scoppiò nella notte del 18 luglio del 64 l’incendio più tristemente famoso della storia di Roma sotto l’impero di Roma: il racconto di un episodio epocale, tra dubbi relativi alle cause che lo generarono e certezze tramandate dagli storici

Dati storici dell’incendio più grave della storia di Roma

Viene ricordato come l’incendio più eclatante della città di Roma durante l’antichità e scoppiò la notte tra il 18 e il 19 luglio del 64 nella zona del Circo Massimo e infuriò per sei giorni  propagandosi in quasi tutta la città. Dei 14 quartieri che componevano la città, se ne salvarono solo quattro. I morti furono migliaia e circa duecentomila i senzatetto. Numerosi edifici pubblici e monumenti andarono distrutti, insieme a circa 4.000 insulae e 132 domus.

Gli scavi condotti nelle aree maggiormente interessate dall’evento hanno spesso incontrato strati di cenere e materiali combusti, quali evidenti tracce dell’incendio. Come in gran parte delle città dell’epoca, gli incendi avvenivano a Roma con una certa frequenza, a causa della tipologia costruttiva degli edifici antichi, che comprendevano numerose parti in legno e utilizzavano in gran parte per l’illuminazione e la cucina fiamme libere. Le vie erano strette e tortuose e lo stretto accostarsi delle case facilitava la propagazione delle fiamme.

I primi vigili del fuoco e le fonti

Lo spegnimento degli incendi era assicurato a Roma da un corpo di sette coorti di vigiles, che si occupavano tuttavia anche di ordine pubblico ma era ostacolato dalla ristrettezza degli spazi di manovra e dalla difficoltà di portare rapidamente l’acqua dove serviva.

Lo storico romano Tacito, circa mezzo secolo dopo il disastro, cita l’avvenimento come il più grave e violento incendio di Roma. Sin dall’inizio della sua ricostruzione, evidenzia come siano incerte le origini del disastro, e diversamente attribuite agli storici dell’epoca.

Le cause, da Nerone ai cristiani

L’incendio sarebbe stato alimentato dal vento e dalle merci delle botteghe, estendendosi rapidamente all’intero edificio ma  lo storico ipotizza che ci furono degli ostacolatori.

Nerone, che si trovava ad Anzio, sarebbe tornato in città quando le fiamme ormai lambivano la Domus Transitoria, la residenza che aveva costruito per congiungere i palazzi del Palatino agli Horti Maecenatis, e non sarebbe riuscito a salvarla. Si sarebbe occupato di soccorrere i senzatetto, aprendo i monumenti del Campo Marzio, il Pantheon, le terme allestendovi dei baraccamenti e facendo arrivare i viveri dai dintorni.

Tali provvedimenti, emessi secondo Tacito per ottenere il favore popolare, non avrebbero tuttavia ottenuto lo scopo, a causa della diffusione di una voce secondo la quale l’imperatore si era messo a cantare della caduta di Troia, davanti all’infuriare dell’incendio visibile dal suo palazzo, fatto divenuto storico al punto da trovarlo anche nella locandina del film del 1913, Quo Vadis.  Un’altra ipotesi alternativa attribuisce le responsabilità dell’appiccamento del fuoco ai cristiani.