La coda alla vaccinara, un must della cucina romana
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Quando si parla della grandezza di Roma, la prima cosa di cui ci viene in mente di parlare è sicuramente la sua bellezza, i suoi monumenti, le sue piazze, le sue fontane; raramente ci viene in mente come se magna bene! Dei piatti della cucina romana abbiamo parlato abbondantemente ma nella Roma antica, come se magnava?
Partiamo col dire che i nostri gusti a confronto di quelli dei romani antichi sono molto differenti, noi ormai siamo abituati a sapori molto meno forti rispetto a quelli a cui erano abituati i nostri antenati. Senza menzionare piatti particolari, basterà ricordare il garum, la salsa a base di interiora di pesce di cui i romani andavano letteralmente pazzi; il suo discendente oggi potrebbe essere la colatura di alici. Non c’era pietanza sopra cui non lo mettevano o non c’era spuntino senza avere il garum a portata di mano. Probabilmente questa salsa si trovava anche nei thermopolium, piccole botteghe che possono equipararsi ai fast food della cucina moderna. Al loro interno venivano serviti probabilmente anche i numerosi tipi di pane che i romani erano soliti preparare, con i diversi cereali che venivano coltivati nell’agro romano e in tutta Italia. Il loro pasto principale era la cena, consumata nel tardo pomeriggio; nelle case più facoltose questi pasti alle volte potevano trasformarsi in veri e propri banchetti, con un numero quasi infinito di portate, servite regolarmente sui triclini.
Chissà cosa avrebbe detto Marco Gavio Apicio se fosse vissuto ai nostri giorni, vedendo tutti questi programmi di cucina che si susseguono in televisione, probabilmente sarebbe impazzito di gioia e avrebbe fatto un tour per tutti i ristoranti che lo incuriosivano per segnare e rubare ricette a più non posso. Questo personaggio romano infatti, che si ipotizza sia vissuto tra il I sec. a. C. e il I sec. d.C., era un amante del lusso, dello sfarzo e dei piaceri, tra cui innegabilmente ricade anche la cucina. Si dice fosse amico del figlio dell’imperatore Augusto, Tiberio e che pose fine alla sua vita quando si accorse che il suo patrimonio, ridottosi a dieci milioni di sesterzi (circa venti milioni di euro attuali), non gli sarebbe più bastato per condurre il suo stile di vita lussuoso. Come dire, s’accontentava de poco Apicio! Sta di fatto che se oggi sappiamo qualcosa su come mangiassero gli antichi romani, la maggior parte dei meriti la dobbiamo a lui e al suo libro De Re Coquinaria ovvero Sull’arte della cucina.
È pur vero che oggi questo libro di Apicio non lo abbiamo in forma completa, ma attraverso dei riassunti che ci sono giunti dall’età tardo imperiale e che si sono conservati e tramandati per tutto il medioevo. Il cuoco e gustatore romano aveva concepito la sua opera suddivisa in dieci capitoli, che trattavano le diverse pietanze della cucina romana, intitolandoli in greco (probabilmente per dare maggior lustro alla propria opera):
Una ricetta di Apicio ve l’abbiamo proposta anche noi ed è quella dell’antenato del Vin Brulé che i romani chiamavano conditum paradoxum. Nel libro di Apicio troverete tutte le portate da quelle salate ai dolci, dai pesci alle carni più comuni o più esotiche come la gru. Per farvi capire più o meno i gusti degli antichi romani oggi vi proponiamo una ricetta estratta dal suo libro dai sapori molto forti, la Patina de apua sine apua ovvero un piatto di acciughe senza acciughe:
Fai a pezzettini polpe di pesce arrosto o lesso così abbondantemente, da poter riempire la terrina che vuoi. Pesta pepe e poco di ruta, copri di liquame [o garum] quanto basta e d’olio moderato, e mescola nella terrina con le polpe, e così anche uova crude rotte, affinché diventi un corpo solo. Sopra disponi leggermente ortiche marine, in modo che non si mescolino con le uova. Metti sul vapore, in modo che non possano andare con le uova e quando saranno secche, spargi sopra di pepe tritato e servi.
Piaciuta la ricetta?
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