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“Tre pigne e una tenaglia”, il curioso soprannome degli avari

foto di: Immagini prese dal web

Conoscevi questo soprannome? In genere si usa per indicare qualcuno che ha delle difficoltà nello spendere il denaro. Pare sia stato inserito per la prima volta nelle poesie di Gioacchino Belli e che poi si sia diffuso nel tempo, tanto che ancora oggi viene usato. 

Un soprannome che solamente i romani conoscono

Tre pigne e una tenaglia” è un simpatico soprannome che viene in genere affibbiato alle persone che hanno difficoltà nello spendere del denaro.

È davvero raro però sentirlo pronunciare all’infuori di Roma. Essendo questo un modo d’indicare le persone avare tipico del romanesco, è molto probabile che chi non è di Roma non sappia minimamente cosa vuol dire.

Considerando che in Italia ci sono tantissimi dialetti, questa è una cosa del tutto normale. Ogni angolo d’Italia ha infatti il proprio modo di definire le cose. Se a Roma l’avaro viene chiamato il “tre pigne e una tenaglia”, a Napoli viene invece soprannominato il “fariseu“. A Firenze invece il “birchiu“. Ogni dialetto ha il proprio modo d’intendere le cose.

Un’origine poco chiara, ma forse poetica

Le origini di “tre pigne e una tenaglia” non sono molto chiare, ma si suppone che questo simpatico modo di definire gli avari sia stato identificato come parte del romanesco, nel momento in cui è comparso in una poesia di un noto poeta romano, Gioacchino Belli.

Nella sua raccolta di poesie, “I sonetti“, c’è un testo che riporta l’intero soprannome e che in rima cerca di spiegare per quale ragione un avaro viene definito in questo modo. Lo fa con questi versi: “Si può dire agli avari, imprecchè la pigna cede a stento il suo frutto, e la tenaglia ritiene fortemente ciò che ha già preso.

Un comportamento tipico delle pinze e delle tenaglie

Nel sonetto di Gioacchino Belli l’avaro viene quindi paragonato alle pigne e alla tenaglia, perchè anche l’avaro, come loro, fa fatica a cedere quello che ha e cerca quindi di trattenerlo il più possibile per sè.

Non è comunque un caso che questo curioso soprannome sia comparso proprio nei versi di Gioacchino Belli. Ne “I sonetti” il poeta, sfruttando il romanesco, ha voluto fornire un’analisi di Roma e dei romani dell’epoca, mettendo in evidenza sia i pregi che i difetti che avevano. Per questa ragione aveva inserito la dicitura in questione in uno dei suoi scritti.