I Lupercalia: l’antica festa romana tra riti e leggenda
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Oggi, 21 giugno, cade il solstizio d’estate: nell’emisfero boreale, questo giorno segna il momento con più ore di luce dell’intero anno e porta con sé la storia affascinante di tradizioni millenarie legate al culto rituale del Sole.
Per definizione, in astronomia con “solstizio” è quel momento, che cade due volte l’anno, in cui la Terra presenta in direzione del Sole un angolo massimo o minimo tra il proprio asse di rotazione e il piano orbitale terrestre. Solstizio, in effetti, non significa altro che “sole stazionario”: da sol, sole in latino, e sistere, star fermo. La posizione del Sole è, infatti, determinante per questo giorno: il raggiungimento dello zenit, il punto più alto raggiungibile dalla stella nella volta celeste, consente una durata di luce e calore fino a ben quindici ore.
A seguito di ciascun solstizio, cambia la tendenza all’aumentare o al diminuire dell’inclinazione dei raggi del sole: di conseguenza, si inverte anche la tendenza al diminuire o all’aumentare delle ore di luce giornaliere. Se, dunque, a partire dal solstizio d’inverno, che si verifica attorno al 21 dicembre, nell’emisfero boreale i giorni vanno allungandosi, il culmine della luminosità solare si ha il 21 giugno. È anche vero, purtroppo, che da questa data in poi le giornate tenderanno ad accorciarsi ogni giorno, fino al prossimo solstizio d’inverno, il giorno più buio di tutto l’anno!
La celebrazione del ciclo solare ha radici antichissime e multiculturali: dalle civiltà megalitiche della Britannia fino agli Inca, non esiste popolo che non abbia tributato al Sole festeggiamenti e celebrazioni cultuali. Con il cristianesimo, il culto pagano celebrato dai popoli latini e italici del dio-Sole si è trasformato, almeno in Italia, nei falò rituali della notte di San Giovanni, fissata al 24 giugno di ogni anno. Tuttavia, molto interessante è una festa che gli antichi romani celebravano qualche giorno prima, il 20 giugno, ancor più strettamente legata al solstizio: la festa del dio Summano. O, meglio, l’anniversario della dedica del tempio a Summano presso il Circo Massimo. Secondo la leggenda, infatti, la dedicazione del tempio sarebbe avvenuta a seguito di un segno prodigioso, sicuramente ispirato dagli dèi: nel 278 a.C., la statua di Sommano posta sul colonnato del tempio di Giove Capitolino venne decapitata di netto da un fulmine. I romani interpretarono l’avvenimento come una chiara manifestazione della volontà del dio di ottenere un tempio tutto per sé. Fino ad allora, infatti, Summano era stato venerato insieme a Vulcano, mutuato dai Greci sul modello di Efesto. Divinità sabina e forse con origine etrusche, il culto di Summano era stato introdotto nel pantheon romano dal re Tito Tazio.
Le prerogative e i tratti di Summano restano, però, molto oscuri – troppo soprattutto per essere un dio festeggiato nel giorno più luminoso dell’anno! Già Ovidio, nel I secolo d.C., testimonia la quasi totale scomparsa dalla religione romana del dio, quando scrive che “fu dedicato un tempio a Summano, chiunque egli sia”. È stato identificato come un possibile corrispettivo notturno di Giove, con il quale condivide l’attributo di folgoratore. Anche il suo nome, Summano, è di dubbia interpretazione etimologica: potrebbe derivare tanto dal latino “sub-manus” ossia “che precede la mattina” o, ma è l’ipotesi più improbabile, da “Summus Manium” cioè “il più grande dei Mani”, gli spiriti dei morti. Sebbene si sappia così poco della divinità, siamo a conoscenza delle offerte votive che gli venivano tributate: focacce sacre, le Summanali, e diversi animali. Per una combinazione quasi sovrannaturale, sappiamo che fu un altro fulmine a determinare la distruzione del tempio di Summano: nel 197 a.C. fu divorato da un incendio divampato proprio dalla caduta di una folgore notturna.
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