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La festa del gatto, perché si festeggia e che valore aveva il felino per i romani?
Come ogni scelta, anche quella di designare il 17 febbraio come giorno per celebrare i gatti, non è casuale. Esistono infatti numerose motivazioni a questa associazione. La prima, di carattere potremmo dire astrologico, riguarda il segno zodiacale di febbraio: l’acquario. Direte – e che c’entra? Addirittura i gatti hanno paura dell’acqua! – È vero, ma a dominare il segno è Urano, protettore degli spiriti liberi, indipendenti e anticonformisti. E quale animale potrebbe meglio rappresentare queste caratteristiche se non il gatto? La seconda, di derivazione numerica, riguarda appunto il numero, il diciassette.
(Fonte: Manualefaidate)
Per i romani, questo numero si rappresentava così: XVII e anagrammandolo dal latino, formerebbe la parola VIXI, dal latino “vissi”. E si sa, i gatti sono quelli che vivono passato, presente e futuro, beneficiando delle loro sette vite. Persino al nord, il 17 è associato a sette vite, portando bene, nell’associazione “una vita (1), per sette volte (7)”. C’è infine chi parla di un sondaggio, per la ricorrenza, condotto per gli appassionati del mondo felino, all’inizio degli anni Novanta. Ma questi eleganti felini come venivano interpretati dagli antichi romani? E che ruolo avevano?
Tanto cari a Diana, dea delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti, protettrice delle donne, cui assicurava parti non dolorosi, e dispensatrice della sovranità, i gatti erano visti di buon occhio dagli antichi romani che, anzi, spesso adoravano questi animali, dai movimenti sinuosi. Si credeva avessero persino poteri magici, e non a caso, data la leggenda sulla strategia di seduzione che la stessa dea ideò per il fratello Apollo. Pare che proprio Diana infatti assunse la forma di un gatto, per cercare di concepire col dio un figlio.
(Fonte: l’Indro)
Non mancano poi i riferimenti alle fasi lunari, di cui gli occhi dei gatti, nelle variazioni della pupilla, ricordano le sembianze. Associati a femminilità, sensualità ed eleganza i nostri antenati ne apprezzavano soprattutto l’indomabilità, la forza e l’agilità. La curiosità dei gatti ricordava ai romani la libertà, perciò la Dea Libertas era spesso raffigurata in compagnia di un gatto. Senza contare, la loro assoluta utilità contro roditori e ratti. Necessità che, addirittura, portò Roma a varare ed introdurre leggi severe volte alla tutela di questi felini.
Il culto del gatto venne poi rafforzato con l’introduzione della Dea Iside, nei cui templi sembra i gatti si recassero così tranquillamente da viverci. All’interno di queste strutture o nei giardini, alloggiavano serenamente questi curiosi quattro zampe, attendendo il cibo portato loro quotidianamente dai discepoli. Un pò come accadde – e accade tuttora – alle rovine di Largo Argentina, elette a loro casa ormai da anni.
(Fonte: Youtube)
Insomma, presso i romani i gatti ricevettero sempre un vero e proprio favore. Tanto che, nel rione Pigna, venne rinvenuta una piccola statua a forma di gatta, che ancora oggi si può ammirare, posizionata su un cornicione di Palazzo Grazioli. Per questo, Piazza Grazioli era denominata un tempo Piazza della Gatta. Da alcune fonti, infine, sembrerebbe che alcuni scudi romani, appartenenti a specifici reparti dell’esercito, recassero come simbolo sovrastante l’immagine di alcuni gatti, con colori differenti. E voi cosa aspettate a mandarci le foto dei vostri amici felini?
(Fonte: Le vie del Giubileo)
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