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A via del Corso, civico 18a, la casa di Goethe è diventata un vero e proprio museo, ma in che periodo questo incredibile e poliedrico artista tedesco soggiornò a Roma? E che cosa, della capitale, colpì maggiormente il suo genio creativo?
Nel 1786, per la prima volta, Johann Wolfgang von Goethe, scrittore, scienziato, filosofo, poeta e drammaturgo tedesco arrivò in Italia, spinto dal desiderio di visitarne ogni angolo, dalle Alpi alla Sicilia, e dalla volontà di trarne la massima ispirazione. Tra le tappe di questo viaggio all’insegna del belpaese che, per il letterato, da esterno non tardò a divenire occasione di un passaggio interno, intimo, affettivo ed esistenziale, Goethe non dimenticò ovviamente di raggiungere Roma, capitale d’Italia e centro dell’inestimabile patrimonio artistico e culturale della penisola.
(Fonte: L’Escargot)
In particolare, scrive in alcuni appunti, la casa capitolina in cui soggiornò era sul Corso (via del Corso), tra le vie del centro della città, «a meno di trecento passi da Porta del Popolo». Laddove, tra l’altro, tutt’ora sorge un bellissimo museo, al civico 18. Ma quali bellezze capitoline colpirono maggiormente la curiosità di Goethe? Quale versione di Roma, tra le tante, ospitò l’artista? Che ricordi lasciò l’Urbe all’autore di capolavori come I dolori del giovane Werther, il Faust e Le affinità elettive?
Roma si distende agli occhi di una delle menti più brillanti del Settecento, come un’opera di inesauribile complessità, potenza e bellezza. Inserito in una – quanto mai – ricca ed eclettica comunità di artisti (spesso incontrati al Caffè Greco), Goethe passa il suo periodo più felice tra le «divine mura» de l’«Eterna Roma». Per questo, più tardi, nelle sue Elegie Romane (1788-1790)1, un ciclo di ventiquattro poesie, in origine intitolate Erotica Romana, tradotte per noi e rese note grazie allo scrittore Luigi Pirandello, scriverà: «Si, qui un’anima ha tutto».
(Fonte: artsdot.com)
«Solamente a Roma», ammette in una lettera, datata circa trent’anni dopo (9 ottobre 1828): «ho sentito che cosa voglia dire essere un uomo. Non sono mai più ritornato ad uno stato d’animo così elevato, né a una tale felicità di sentire. Confrontando il mio stato d’animo di quando ero in Roma, non sono stato, da allora, mai più felice».
La città rappresentò, per il poeta, «un secondo compleanno, un’autentica rinascita»; la possibilità di ritrovare il suo spirito creativo, il suo desiderio di emancipazione artistica e sentimentale.
E a testimoniare questo suo “risveglio“, l’incrocio minuzioso, nelle sue lettere e nei suoi appunti, dei luoghi romani raggiunti e delle sensazioni provate.
(Fonte: Rerum Romanarum)
L’artista è incantato soprattutto dai monumenti antichi del glorioso passato di Roma, protagonisti delle sue prime visite. Dal Colosseo alle Terme di Caracalla, dagli acquedotti ai sepolcri della Via Appia, nelle sue parole torna ridondante un’unica percezione: «questa gente lavorava per l’Eternità».
(Fonte: Appasseggio)
Così, ammirando l’Anfiteatro più celebre al mondo, Goethe afferma che una volta visto «tutto il resto sembra meschino» in confronto, talmente grande «che la sua immagine non la si può contenere tutta nello spirito».
La ricchezza artistica della capitale ammalia, seduce e nutre così profondamente l’animo dello scrittore tedesco che, nella Cappella Sistina, è «così conquistato da Michelangelo che, dopo di lui, non apprezzo neppure più la natura dato che non posso guardarla con occhi grandi come i suoi».
Una menzione speciale, poi, per la Chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo.
(Fonte: Wikipedia)
Tappa più cara all’architetto del Prometeo, Goethe vi si recò, infatti, ad onorare la tomba di Torquato Tasso. «Uomo geniale, pieno di finezza e sensibilità, quanto chiuso in se stesso», come ama definirlo lui, per il quale redigerà un dramma teatrale dal titolo Torquato Tasso, appunto.
In Piazza San Pietro, precisamente nella Basilica, infine, racconterà, in una missiva, di essere persino “inciampato” sul Papa, «inginocchiato presso una colonna» e intento alla preghiera!
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