Alla scoperta dei dintorni della fermata Scalo San Lorenzo/Ausoni
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È una delle sei statue parlanti di Roma. Dopo Pasquino, “nun te le mannava a dì” nemmeno la Fontana del Facchino. Dove si trova e di chi fu opera?
Venne posta originariamente in via del Corso, crocevia di romani e turisti, al centro di Roma. Precisamente, sulla facciata principale del palazzo de Carolis Simonetti (attuale palazzo del Banco di Roma). E, tuttavia, sotto papa Gregorio XIII, intorno a fine ‘800 fu spostata, nella sua posizione odierna, sulla facciata laterale dello stesso palazzo, ma in via Lata. Insomma leggermente defilata, dalla marea di gente che ogni anno se fa due o tre vasche a via del Corso, strada romana dello shopping per eccellenza. Che fu trasferita perché troppo scomoda, nella sua veste di statua parlante? Chissà, alcuni sostengono che il motivo maggiore sia stata la viabilità – sarebbe stata spostata, per proteggerla dagli urti delle carrozze -.
(Fonte: Rerum Romanorum)
Sta di fatto che, questa fontana, sulla scia di Pasquino, e dei colleghi Madama Lucrezia, Marforio, l’Abate Luigi e il Babuino) e delle loro famose pasquinate, riportava per filo e per segno il malcontento del popolo romano. Realizzata, secondo alcuni, ad opera dello scultore Jacopo Del Conte, nel 1580, su espressa richiesta della Corporazione degli Acquaroli, per l’immaginario dell’epoca rientrava a pieno diritto fra quelle statue romane, sulle quali, per mezzo di messaggi anonimi o componimenti satirici, i cittadini esprimevano il loro disappunto e le loro critiche, contro la classe sociale dei governanti. Spesso, addirittura contro il potere papale.
Ammirandola oggi, in particolare, questa fontanella appare nelle vesti di una figura maschile. Il volto, però, è quasi completamente consumato, probabilmente per via di qualche offesa, ricevuta a mo’ di bersaglio, da alcuni monelli di strada. Dovete sapere infatti che, secondo una credenza popolare, il soggetto di questa scultura, per via dell’abbigliamento e del berretto, fu associato, per molti anni, al teologo tedesco Martin Lutero, protagonista assoluto della Riforma protestante contro la Chiesa di Roma e il cattolicesimo. Nonostante, l’intento dell’artista e della commissione era tutt’altro. A tal proposito, la fontanella doveva simboleggiare il mestiere dell’acquarolo, o meglio, acquaricciaro, cioè di colui che, fino al ripristino degli antichi acquedotti romani di fine ‘500, si recava alle fontanelle a prendere acqua, per poi rivenderla, porta a porta, a chi ne era sprovvisto. In altre parole, un lavoro molto simile a quello dei facchini, perciò il nome “Fontanella del Facchino“, tra l’altro confermato dall’abito che indossa e da un’epigrafe andata perduta, durante il trasporto a via Lata, che recitava: «Ad Abbondio Rizio, coronato sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli».
(Fonte: Flickr)
La locuzione latina «in publicis stillicidiis coronato» rimanderebbe, infatti, ad un rituale tipico degli anziani della Corporazione, secondo cui, il nuovo arrivato, ovvero il nuovo facchino iscritto, doveva cadere (con le natiche) tre volte sul selciato pubblico, prima di prendere possesso del suo ruolo. Sempre dall’epigrafe, poi, dettata dall’Abate Godard, conosciamo parte della storia di questo facchino. Oltre al nome (tale, Abbondio Rizio), sappiamo che: «portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì».
(Fonte: Pinterest)
Neanche la scelta del luogo in cui posizionare la fontana fu casuale. In questa zona abitavano, o avevano la propria bottega, infatti, numerosi acquaroli, soprattutto perché lì vicino, nei pressi di Fontana di Trevi, sorgeva l’acquedotto dell’Acqua Vergine. Una suggestiva curiosità, infine, si legava alla sua origine. Nel 1751, il celebre architetto e pittore Luigi Vanvitelli attribuì la creazione di questa fontana a Michelangelo! Un fatto strano, questo della paternità del Buonarroti, che a molti apparve infondato o frutto di una leggenda. Eppure, il Vanvitelli svolse con estrema cura la dettagliata perizia e, occupandosi delle pitture del palazzo, alla cui facciata la statua apparteneva, sappiamo che non fece attribuzioni errate. D’altra parte, l’edificio era pur sempre residenza di una famiglia nobile fiorentina…
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