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Quando i Galli espugnarono Roma

foto di: Immagini prese dal web

Era il 18 luglio quando, nell’anno 386 a.C., i Galli Senoni, guidati da Brenno e partiti dalla loro capitale Senigallia, riuscirono a entrare nella città eterna per razziare e saccheggiare. Vediamo insieme, passo passo, tutti gli avvenimenti di uno degli episodi più traumatici della storia di Roma, tanto da essere riportato negli annali con il nome di Clades Gallica, ossia ‘sconfitta gallica’.

 

Un giorno nefasto

I romani fecero un primo tentativo di contenimento dell’avanzata gallica a poche miglia da Roma, presso la confluenza del Tevere con il fiume Allia, un corso d’acqua lungo la via Salaria: l’impresa fallì miseramente e i romani furono costretti alla ritirata. La sconfitta fu così impietosa che il giorno sciagurato in cui avvenne, il dies Alliensis (il 18 luglio), fu registrato nei calendari imperiali come dies nefastus (‘giorno infausto’). Lo storico Tito Livio racconta come, nel corso della disperata marcia indietro, i soldati romani scampati al massacro si rifugiarono entro le mura di Roma, dimenticando di chiuderne le porte: questa fatale distrazione costò moltissimo al popolo latino. Infatti, i Galli lanciati all’inseguimento dei superstiti non si fecero sfuggire l’occasione di penetrare in città e metterla a ferro e fuoco.

 

Il saccheggio

L’archivio di stato andò completamente distrutto durante la violenta incursione: quasi tutti gli avvenimenti antecedenti la battaglia di cui vi si teneva traccia nei documenti lì conservati andarono perduti, condannando così i posteri a una ricostruzione senza fonti attendibili e quasi leggendaria dei primi secoli di storia di Roma. Quando irruppero nel Senato, i Galli fecero scempio di chiunque vi si trovasse: la maggior parte dei senatori fu massacrata senza poter opporre la minima resistenza al nemico. Leggenda vuole che solo le vergini vestali, sacerdotesse custodi del fuoco sacro della dea Vesta, siano riuscite a scampare alla furia degli invasori: la figura di dubbia veridicità storica di Lucio Albinio sarebbe stato l’artefice della fuga delle sacerdotesse, riuscendo a condurle presso la vicina città di Cere. L’unica zona della città a resistere fu il colle Campidoglio, che venne posto sotto assedio da Brenno e i suoi. Tito Livio scrive che a quel punto i Galli si scissero in due: parte dell’esercito impiegata nell’assedio, e la restante parte a razziare le aree rurali dei dintorni.

 

Marco Furio Camillo e la vittoria

Intanto la notizia delle razzie in corso giunse fino ad Ardea, dove gli abitanti decisero di affidare il comando dei propri soldati a Marco Furio Camillo. Quest’ultimo approfittò dell’uscita da Roma per tendere un’imboscata alle truppe galliche, infliggendogli una prima sconfitta. Roma, però, continuava a essere sotto assedio: la situazione era drammatica e fu in questo caos che, da Veio dove si erano rifugiati, i legionari inviarono a Roma un messaggero, Ponzio Comino, affinché proponesse al Senato l’elezione di Furio Camillo in qualità di dittatore. L’ambasciatore riuscì a penetrare in città e il Senato acconsentì alla proposta di nomina. A questo punto degli eventi, la storia si intreccia alla leggenda: la rimonta romana sui Galli si ebbe grazie all’intervento del console Marco Manlio. Secondo il mito, il console sarebbe stato avvisato del nuovo tentativo d’ingresso degli assedianti da un gruppo di insolite alleate: le oche capitoline! Sacre a Giunone, le oche mandarono involontariamente l’allarme starnazzando all’impazzata quando videro la minaccia gallica avanzare nel cortile del tempio, posto sul Campidoglio. I versi dei volatili non sfuggirono all’orecchio di Manlio, che poté così avvisare il contingente romano e organizzare un contrattacco. Tuttavia, la risoluzione definitiva del conflitto non si giocò sul campo di battaglia, ma al tavolo delle trattative: con Roma e i romani ormai nella morsa della carestia, Furio Camillo acconsentì al pagamento del riscatto richiesto da Brenno. Quando, però, Brenno gettò in segno di spregio la sua spada sulla bilancia che pesava l’oro richiesto, urlando “Vae victis!” (“Guai ai vinti!”), per Camillo fu troppo: il contratto saltò e i romani si ritrovarono a dare guerra agli invasori. Questa volta, però, l’esito fu propizio, e in due battaglie lungo la via Gabinia i Galli furono massacrati.