“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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Perché Giorgio De Chirico amò tanto Roma? E che tipo di legame instaurò con la città Eterna?
Quando si parla di pittura del Novecento, non si può non menzionare Giorgio de Chirico, padre della pittura metafisica del Ventunesimo secolo. Di quel tipo di corrente che, ispirandosi alla metafisica filosofica, mirava a cogliere l’essenza situata oltre, dopo, al di là (dal greco “meta“) l’apparenza fisica (da “physis”, cioè natura) della realtà, e dell’esperienza sensoriale ad essa connessa. Lo stesso de Chirico, spiegando come aveva dipinto L’enigma di un pomeriggio d’autunno del 1910, ne aveva sigillato i termini, la metodologia per così dire, scrivendo:
«Durante un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto su una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Non era certo la prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. La natura intera, fino al marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. In mezzo alla piazza si leva una statua che rappresenta Dante avvolto in un lungo mantello, che stringe la sua opera contro il suo corpo e inclina verso terra la testa pensosa coronata d’alloro. La statua è in marmo bianco, ma il tempo gli ha dato una tinta grigia, molto piacevole a vedersi. Il sole autunnale, tiepido e senza amore illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ed ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile. Perciò mi piace chiamare enigma anche l’opera che ne deriva»
E tuttavia, sebbene a Firenze ebbe la prima intuizione su questa nuova modalità di far pittura, anzi di far emergere dalla pittura qualcosa d’altro, fu a Roma che de Chirico dedicò il suo profondo amore. Un legame assoluto confermato non solo dalla tomba, situata ancora oggi in una delle cappelle della Chiesa di San Francesco a Ripa, nel rione Trastevere, in Piazza San Francesco d’Assisi; ma dalle parole che lo stesso artista spese per la città.
A Roma prese avvio il periodo maturo delle opere di de Chirico, dipinte nello studio del suo appartamento di Piazza di Spagna (in cui si stabilì dal 1948), centro della capitale ma anche “centro del mondo“, come amava dire lui; e a Roma, dopo aver vissuto in ben 21 luoghi differenti (compresa New York), decise di passare i suoi ultimi 30 anni di vita e di carriera, lasciandosi ispirare dalle opere classiche della città eterna, dalla grandiosità dei suoi monumenti e dei suoi patrimoni artistici.
Insomma, questo e tanto altro avrete occasione di vedere dal vivo, recandovi al civico 31 di Piazza di Spagna, in quella che è diventata oggi una Casa-Museo, aperta al pubblico il lunedì, il giovedì, il venerdì, il sabato e l’ultima domenica del mese, previa prenotazione. Un luogo che non vi stupirà solo per i colori, i capolavori dell’artista e le loro peculiarità, ma per la scoperta del suo legame indissolubile con la città, per il suo modo di vivere e percepire la romanità.
«Dicono che Roma sia il centro del mondo e che piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie, quindi si abiterebbe nel centro del centro del mondo, quello che sarebbe il colmo in fatto di centrabilità ed il colmo in fatto di antieccentricità»
(Giorgio de Chirico in Memorie della mia vita, 1945)
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