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Oggi è la giornata mondiale dei diritti dei bambini, ma com’erano i bambini nell’antica Roma e che diritti avevano?
Adottata nel 1989, la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, viene ratificata in Italia il 27 maggio del 1991, poco più di trent’anni fa. Da quel momento si celebra ogni anno la giornata mondiale dei diritti dei bambini e delle bambine, attraverso un documento che ne stabilisce, in quasi tutti i paesi del mondo, i diritti fondamentali, tutelandoli e proteggendoli. Allora perché si festeggia il 20 novembre? La data coincide, appunto, non col giorno in cui entrò in vigore in Italia, ma col giorno in cui l’Assemblea generale ONU decise di approvare e fare sua prima la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, poi la suddetta Convenzione. Da quel momento, molte cose sono cambiate, sebbene il cammino sia ancora lungo (nel mondo si parla di oltre 400 milioni di bambini e bambine che vivono in aree di conflitto; dai 10 ai 16 milioni di minori che rischiano di non poter andare a scuola perché costretti a lavorare o sposarsi; per non parlare di quelli che purtroppo muoiono).
Ma com’erano i bambini nell’antica Roma? E che diritti o doveri avevano? Secondo i romani, si poteva essere considerati infanti sino all’età di sette anni. Fino a quel momento, insomma, il bambino veniva definito come “colui che non può parlare“, perché si credeva caratteristica all’infanzia l’incapacità di esprimere giudizi o volontà in maniera razionale. Superata quella fase, poi, si entrava di diritto nella fanciullezza, dunque in una fase di mezzo, dalla quale però appena adolescenti si raggiungeva subito l’età adulta. Quindi, si era pronti ad essere arruolati o educati alla vita militare, almeno per quanto riguardava gli uomini; o si era pronti a trovare marito, per quanto riguardava le bambine, prima educate al greco, al latino e alle “buone maniere“, poi considerate “in età da marito” dagli 11 anni!
C’è da dire che a prendere le decisioni per i figli, uomini o donne (che avevano già superato il rito del riconoscimento), era la figura del pater familias, titolare del diritto di vita e di morte su tutti i familiari (vitae necisque potestas).
Se si parla di diritti dei bambini e delle bambine nell’antica Roma, però, al di là della diversa considerazione e definizione delle fasce d’età rispetto ad oggi e dei diritti ad esse connessi, va sottolineata l’importanza che si dava all’istruzione e al gioco. Soprattutto nelle famiglie più abbienti, che quindi potevano permettersi precettori o maestri, gli infanti passavano i primi anni di fanciullezza a studiare, teoricamente e praticamente, con qualche momento di svago (uno dei giochi più diffusi fra i bambini era quello dei “tali“, degli ossicini che si tiravano come dadi). Ovviamente, la questione cambiava per le famiglie più povere, dove il bambino veniva considerato piuttosto forza lavoro aggiunta a quella della famiglia.
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