“Tra Sacro e Profano” la pittura di Ulisse Scintu a Palazzo Ruspoli
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Visibile e invisibile, velato e manifesto: Rubens inventò un meccanismo per nascondere qualcosa sotto il suo dipinto, dove si trova e perché?
Avete mai visto un quadro che si muove? Un’immagine che scompare per lasciare il posto ad un’altra cosa? Eppure a Roma esiste un dipinto in grado di nascondere qualcos’altro. Cosa deve nascondere? Dove si trova?
Nel maggio del 1600 Sir Pieter Paul Rubens, pittore fiammingo di celebre fama, decide di partire, come ogni artista dell’epoca, alla ricerca dei grandi maestri e lo fa alla volta dell’Italia, paese in cui resterà per i successivi otto anni. Prima tappa Venezia, il Rubens, nell’intento di affinare la sua arte, comincia a studiare le tecniche di alcuni fra i volti più importanti della scena pittorica italiana, artisti come Tiziano, Veronese e Tintoretto.
(Fonte: Wikipedia)
Successivamente, entrando in contatto col duca di Mantova, gli viene affidato l’incarico di pittore di corte, una carica che conserverà fino alla fine del suo soggiorno e che arricchirà ulteriormente la sua cultura e la sua capacità figurativa. Ed è proprio in questo contesto e per via di questo fortuito incarico che, un anno dopo il suo arrivo, il Rubens, spedito a Roma dal duca, ha l’opportunità di ampliare le sue conoscenze e le sue abilità, osservando dal vivo e copiando incredibili affreschi del calibro di Michelangelo e di Raffaello.
Nella Capitale, il pittore non solo fa i conti con la grande presenza – e l’assoluta bellezza – di monumenti e meraviglie dell’arte antica, ma ha la possibilità di esaminare la coeva produzione del Caravaggio e realizzare, poco dopo, il Trionfo di sant’Elena, l’Incoronazione di spine e l’Innalzamento della croce, per una delle Sette Chiese di Roma, la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Una prima commissione, questa, per la quale non tarderanno le richieste successive. Così, qualche anno più tardi, tornato di nuovo a Roma, il Rubens accetta la proposta di decorare l’abside della Chiesa di Santa Maria in Vallicella, nel rione Parione, detta anche Chiesa Nuova e poco distante da via Giulia e Campo de’ Fiori. Il compito è arduo: si tratta di una tela di grandi dimensioni, un dipinto olio su tavola di ardesia di 425×250 cm; un lavoro per il quale impiegherà ben due anni. A conferire una certa difficoltà all’impresa, però, non è soltanto la portata del quadro e della sua manifattura, ma lo scopo finale: la tela dovrà coprire un’altra immagine, senza coprirla totalmente. Perché?
(Fonte: Wikipedia)
Rubens realizza la pala d’altare e, insieme, sviluppa un meccanismo di pulegge e corde, secondo cui è possibile spostare il volto della sua Madonna e l’opera funziona, tanto che ancor oggi è possibile osservarne la fattura, ma quale fu il motivo di questa astuta invenzione barocca? Il quadro “motorizzato”, commissionato a Rubens, non aveva solo il compito di abbellire l’altare: doveva custodire al suo interno un’antica icona miracolosa, la Madonna vallicelliana, un’immagine che in passato aveva sanguinato e che, per questo, doveva essere protetta dal tempo e dal deterioramento. La monumentale opera d’arte di Rubens, che in superficie riproduceva la reliquia sottostante, serviva allora da copertura e da tutela all’immagine sacra che sotto vi si nascondeva. Così, durante la messa del sabato sera, il sacerdote a fine funzione fa – tuttora – scendere l’ovale di Rubens per mostrare “la magia“.
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