Alla scoperta dei dintorni della fermata Scalo San Lorenzo/Ausoni
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Che Roma sia magica si sa, senza trucco e senza inganno! Pochi sapranno però che, oltre la bellezza, a Roma è magica anche una porta – no, non è che se suonate il campanello esce un coniglio! Si tratta proprio di magia, di oro, di…vabbè leggete che è meglio!
Quello che state pensando possiamo già immaginarlo: “mo, pe’ di’ che c’è ’n ber panorama la chiameno porta magica! Roma è tutta ’na magia”.
Stavolta, però, vi sbagliate: non si tratta di belle vedute, né di magnifici scorci sur cupolone nazionale e dimenticatevi pure suggestivi buchi della serratura: qui si parla proprio di magia!
Già perché, per chi ancora ne fosse ignaro, a Roma esiste una vera e propria porta magica, conosciuta anche come Porta Alchemica. Piazza vittorio (Emanuele) per i romani – che a noi ce piace abbrevia’ – sull’Esquilino: proprio qui si trova la suggestiva porta. Non diteci di non aver presente il posto! Dai, è quella piazza coi binari del tram proprio in mezzo, i portici, i famosi resti dei Trofei di Mario; quella in cui si vendevano i pezzi di ricambio per le biciclette in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica e c’era quel bel mercato folcloristico pieno di “piazzaroli” dalle merci convenienti. Insomma, proprio a Piazza Vittorio, nel cuore di Roma, si trova una particolare porta, dalla quale né si entra né si esce…forse!
Vabbè, questa più che una battuta è una freddura – siamo d’accordo – ma perché, la Porta Alchemica, si chiama proprio cosi?
Il termine deriva da quella pratica particolare che era l’Alchimia, ovvero l’antica scienza delle trasformazioni e degli artifici – insomma una sorta di antica parente della magia.
Tutto ebbe inizio quando, il marchese Massimiliano Savelli Palombara, convinto estimatore delle conoscenze alchemiche, decise di ospitare all’interno della sua residenza, Villa Palombara – edificata esattamente nell’odierna Piazza Vittorio –, un noto alchimista dell’epoca, Francesco Giuseppe Borri. L’uomo, che più volte era stato accusato dalla Chiesa di eresia, per via delle sue magie, e rinchiuso a Castel Sant’Angelo, una volta scarcerato venne accolto con entusiasmo dal marchese, curioso di farsi rivelare ogni segreto di quella scienza esoterica, che era l’alchimia.
Leggenda narra che, proprio nel giardino di Villa Palombara, il Borri, finanziato dal marchese, una notte si mise alla ricerca di una misteriosa erba, in grado di produrre oro. Al mattino seguente, dell’uomo non vi era più traccia. Solo qualcuno lo vide scomparire nella porta. A seguito della sua sparizione, furono ritrovate alcune pagliuzze d’oro sull’erba, segno che l’esperimento di trasmutazione alchemica era riuscito! Vani furono i successivi sforzi, del marchese, di decifrare gli appunti lasciati dal Borri, carte enigmatiche piene di simboli. Per questo, il Palombara decise di renderne pubblico il contenuto, facendo incidere gli strani segni sulle cinque porte della villa: la speranza era trovare qualcuno in grado di tradurli.
Il tentativo durò poco, però: divenuta Roma Capitale d’Italia a fine ‘800, la Villa fu rasa al suolo, per far posto alla costruzione del rione Esquilino.
Oggi, l’unica porta rimasta intatta, la Porta Alchemica, se ne sta incastonata insieme a tutte le sue scritte, a Piazza Vittorio Emanuele, sperando nell’arrivo di qualcuno che riesca a decodificarle. E chissà se quelle incisioni, provenienti da libri di alchimia e filosofia esoterica, vogliano davvero rivelarci il progetto segreto del Borri o, come sostiene qualcuno, furono create dal marchese stesso per tenere lontani i curiosi da quella che era, in realtà, soltanto la porta del suo laboratorio di alchimia.
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