Alla scoperta dei dintorni della fermata Scalo San Lorenzo/Ausoni
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Si tratta di uno di quei luoghi poco conosciuti di Roma, ma ricco di storia: che cos’è l’Arco degli Acetari e dove si trova?
Pochi di voi ne avranno sentito parlare, Roma è piena di luoghi ancora poco conosciuti, e ricchi di racconti e di storie: l’Arco degli Acetari è uno di questi. Sarete stati tantissime volte a Campo de’ Fiori e, senza saperlo, questo posto nascosto di Roma era proprio lì vicino, a due passi da voi. Da uno stretto sottopassaggio in via del Pellegrino, superando il civico 19, si arriva infatti ad un’antica casa delle fattezze piuttosto modeste. In realtà, si tratta di un passaggio, un androne al cui interno si apre uno slargo dall’aspetto medievale, che sembra restare fuori dal tempo e portarci in un’altra epoca. Uno di quei pochissimi luoghi romani, insomma, risparmiati dai rinnovamenti edilizi e dai progetti urbanistici della città. È lì che si trova l’Arco degli Acetari, all’interno di questo angolo di Roma che non sembra neanche più Roma, ma un borghetto caratterizzato da case tipicamente medievali, in una pizzetta che nulla a che vedere con la maestosità delle piazze romane a cui siamo abituati.
Ma perché, vi starete chiedendo, questo Arco si chiama così? Da dove deriva questo particolare nome? Per scoprirlo bisogna tornare un po’ indietro nel tempo, ad una Roma che ormai non esiste più e che lo scorcio pittorico di questo luogo, però, ci fa respirare ancora. Non sembra ancora ben attestato, ma pare che il termine Acetari derivi dalla parola acquacetosari, poi abbreviata in acetosari. A sua volta, la definizione si riferiva a tutti quei venditori di acqua acetosa che qui avevano forse i loro depositi, e che da qui andavano a vendere e distribuire l’acqua nell’adiacente mercato di Campo de’ Fiori.
Ora, l’acqua acetosa era il nome con cui veniva chiamata l’acqua ferruginosa che sgorgava dalla Fontana dell’Acqua Acetosa nel quartiere Parioli. Era diventata così richiesta e famosa, perché Papa Paolo V un giorno aveva affermato che: «Renibus et stomacho, spleni corique medetur Mille malis prodest ista salubris aqua», ovvero «Questa acqua salubre è medicina dei reni, dello stomaco, della milza e del cuore ed è utile per mille malattie». Fu lui a volere, d’altra parte, la costruzione della prima Fontana. L’epigrafe della sua affermazione è presente ancor oggi sulla fonte.
L’acqua acetosa non era insomma solo potabile, ma a quanto pare curativa, perciò nacque la figura degli acetosari, cioè di mercanti che ne fecero un business, vendendola nei mercati di Roma. Ad apprezzare le proprietà di quest’acqua, una volta sparsa la voce, non fu solo papa Paolo V ovviamente, ma anche i successori. Uno fra tutti Alessandro VII, che non solo diede alla fontana le sembianze attuali, ma gli dedicò addirittura un’esedra, raggiungibile mediante una scalinata che, dalla fontana, porta in basso. Costruita interamente in marmo di travertino, sull’esedra appaiono tre nicchie, in ognuna delle quali svetta lo stemma dei Chigi. Per anni, molti hanno associato questa struttura al Bernini, l’attribuzione è tuttavia falsa. Il progetto è stato eseguito, infatti, o dal pittore seicentesco Andrea Sacchi o dall’architetto Marco Antonio De’ Rossi.
Il luogo è comunque raggiungibile dalla stazione di Acqua Acetosa. Vi incuriosirà sapere, infine, che a Roma esisteva un’altra fonte di acqua piuttosto acidula, quindi chiamata anch’essa acqua acetosa, ed è su via Ostiense. Pare che persino gli antichi romani la usassero per scopi terapeutici.
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