“Narciso, la fotografia allo specchio”, una mostra che riflette sul concetto del doppio
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Chi non ha mai utilizzato la scusa del mal di testa nelle situazioni in cui non gli andava di fare qualcosa, financo l’amore? Siamo sinceri, un po’ tutti, ma nella mitologia greca e romana il Giove, il boss degli dei da una sua emicrania partorì una dea: Minerva!
Direte voi, bè menomale che questa volta la dea sia nata dall’emicrania e non dall’ennesimo tradimento di Giove nei confronti di Giunone! E invece vi sbagliate anche questa volta, perfino la nascita di Minerva, la dea della sapienza, della giustizia e delle cose giuste, è nata da una scappatella del boss degli dèi. La vittima dell’ennesimo tradimento da parte di Giove questa volta è Meti o Metide. L’oceanina, figlia di Oceano e di Teti (non la madre di Achille, ma un’altra dallo stesso nome) appena rimase incinta da parte di Giove, fu mangiata dal suo amante, che aveva ricevuto la profezia che se un giorno la donna avesse partorito, avrebbe dato alla luce un bambino, più grande di lui in potenza e forza. Quindi senza sapé né scrive né lègge Giove non ci pensò su due volte e se la mangiò. Arrivato al nono mese di gestazione però il boss cominciò a soffrire di una terribile emicrania e dato che non gli passava chiese e implorò l’aiuto del dio Vulcano, che con uno dei martelli della sua fucina gli spaccò la testa: si sa, i greci e i romani prendevano sempre soluzioni molto drastiche per risolvere le situazioni. In questo modo però si scoprì la causa dell’emicrania di Giove; al suo interno infatti era presente Minerva armata di elmo e scudo. Una situazione simile a quanto accaduto per Bacco, fatto crescere per gli ultimi mesi di gestazione nella gamba di Giove.
Minerva, prima di essere associata come dea alla greca Atena, discendeva dalla divinità etrusca Menrva. La sua caratteristica era quella di proteggere gli artisti e gli artigiani, l’ingegno e lo studio (non a caso all’interno della città universitaria romana è presente la statua di questa dea, che è anche il simbolo dell’università La Sapienza), la saggezza e le arti utili (come l’architettura, l’ingegneria, la scienza, la matematica, la geometria, l’artigianato e la tessitura). Ecco una bella descrizione della divinità da parte dello storico Graves:
“Atena inventò il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l’aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia per i cavalli, il cocchio, la nave. Fu la prima ad insegnare la scienza dei numeri e di tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere. Benché dea della guerra, essa non gode delle sanguinose battaglie, come invece accade ad Ares e a Eris, ma preferisce appianare le dispute e far rispettare la legge con mezzi pacifici.
Non porta armi in tempo di pace e qualora ne abbia bisogno le chiede in prestito a Zeus.
La sua misericordia è grande. Se nei processi che si svolgono all’Aeropago i voti dei giudici sono pari, essa di solito aggiunge il proprio per ottenere l’assoluzione dell’accusato.
Ma se si trova in tempo di guerra non perde mai una battaglia, sia pure contro lo stesso Ares, perché più esperta di lui nell’arte strategica; i capitani accorti si rivolgono sempre a lei per avere consiglio.”
Nelle aule giudiziarie sia in Grecia che a Roma infatti, nel momento in cui una votazione si attestava sulla parità dell’assemblea che votava si era soliti far votare anche il presidente dell’assemblea o la persona più importante presente, chiamando quel voto il calculus Minervae, il voto di Minerva. Di solito questo voto era sempre a favore dell’imputato e quindi si tendeva a evitare di condannare il colpevole. Indovinate a chi fu assegnato nel 30 a. C. questo potere in una votazione nel senato romano? Ovviamente a Ottaviano, il futuro Augusto, il primo imperatore di Roma.
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