Al Museo della Fanteria una straordinaria mostra per scoprire da vicino Frida Kahlo
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Dopo la città delle streghe, eccoci giunti alla città del diavolo! Se vi diciamo Heinrich e Thomas Mann, cosa vi viene in mente? Non ne avete idea? Eppure furono due incredibili scrittori, alloggiarono a Palestrina e a uno di loro si deve l’identificazione della città come “città del diavolo”, ma a chi? E perché?
Oltre cento anni fa i fratelli Mann decisero di arrivare a Palestrina, avviando qui la loro fortunata carriera letteraria. Artisti indiscussi del Novecento, Heinrich e Thomas Mann, provenienti da Lubecca, si distinsero subito per qualità di scrittura e stile. Sebbene molto diversi fra loro nelle scelte contenutistiche, i loro testi sono ancor oggi manifesti del difficile percorso, che la letteratura tedesca si trovò ad affrontare a cavallo fra le due guerre. Se Heinrich ebbe sempre un atteggiamento critico: la letteratura aveva un ruolo politico e sociale ineliminabile, non devoto all’art pour l’art; Thomas, per contro, rimase sempre più conservatore, abbracciando tematiche legate ad estetismo e sensibilità. Ma perché si trasferirono a Palestrina, per almeno un paio d’anni? Cittadina ricca di testimonianze archeologiche, rinomata per la salubrità dell’aria, utile alla malattia polmonare di Heinrich, Palestrina era anche la residenza di uno dei musicisti sacri più amati da Thomas, Giovanni Pierluigi.
Come riporta una targa proprio sul muro della pensione in cui vennero ospitati («Qui […] soggiornarono a lungo sul finire dell’Ottocento, alla ricerca di se stessi, Heinrich e Thomas Mann»), fu molto fruttuoso, per i due, il soggiorno a Palestrina. Proprio qui, Heinrich cominciò a scrivere molte delle sue celebri opere, romanzi come Le dee e Nel paese della Cuccagna, pubblicati nei primi anni del ‘900. I ricordi di Palestrina confluirono, ad esempio, nella novella Storie di rocca dei fichi e nel romanzo La piccola città, il racconto di una compagnia teatrale, che arrivando sconvolse le sorti dei suoi abitanti.
Thomas iniziò la stesura del suo primo romanzo, I Buddenbrook, opera a cui rimase sempre associato e che gli valse il Nobel per la letteratura, nel 1929.
Fu Thomas, però, ad ambientare a Palestrina una parte de Il Dottor Faust, uno dei più memorabili romanzi del secolo scorso, ispirandosi (anche lui, come i suoi predecessori) ad una leggenda popolare tedesca. All’interno della locanda, in cui soggiornò, Thomas immaginò la stipula del famoso patto fra il diavolo e Adrian Leverkhun, musicista e protagonista della storia. In uno scenario eco de I fratelli Karamazov di Dostoevskij, del bello Dorian Gray di Wilde e della meravigliosa opera in versi del Faust di Goethe, il compositore di Mann cedeva alle lusinghe diaboliche di Satana: ventiquattro anni di genio e assoluta creatività musicale, in cambio della dannazione eterna. Perciò, Palestrina da quel momento si identificò come “la città del diavolo“.
Scrive Thomas Mann:
«Il luogo era Palestrina, il paese nativo del compositore, detto anche Preneste, e ricordato da Dante nel ventisettesimo canto dell’Inferno come Prenestino, roccaforte dei principi Colonna, una cittadina pittoresca appoggiata ai monti […] Ed ecco d’un subito mi sento colpire da un gelo tagliente che mi colpiva in faccia. Alzo gli occhi dal libro, guardo la sala […] non sono più solo: c’è qualcuno seduto nella penombra sul divano di crine, con le gambe accavallate […] É un uomo piuttosto allampanato, più piccolo di me, i capelli rossigni; ha le ciglia rossicce, gli occhi infiammati»
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