La “Pasqua“ degli antichi romani, il culto di Attis
4 Aprile 2021
Antica divinità greca, il culto di Attis si diffuse a Roma, nelle vesti di una festività molto simile alla Pasqua. Di cosa si trattava?
Attis, la divinità al servizio di Cibele
Chiaramente, la Pasqua, per come la intendiamo noi (come festività d’origine cristiana) nacque più tardi, rispetto alla celebrazione di Attis. E, tuttavia, entrambe recavano in sé delle caratteristiche comuni. Pochi di voi sapranno, infatti, che a festeggiare questo periodo dell’anno non fu solo il cristianesimo. Prima di esso furono anche la religione ebraica, con principi liturgici diversi da quelli cattolici, e la tradizione romana, mediante riti propiziatori pagani. In particolare, fra il 15 e il 28 marzo si svolgevano a Roma un ciclo di festività dedicate al dio Attis, noto servitore della dea Cibele.
(Fonte: Wikipedia)
E l’aspetto interessante di questo periodo di festività risiedeva nelle sue motivazioni. Eco di quelle che sono oggi le ragioni della celebrazione della nostra Pasqua, la morte e la resurrezione di Cristo, celebrare Attis significava, allo stesso modo, onorare la morte e la rinascita del dio. Ma perché era così importante commemorare questa divinità? Per comprenderlo, è necessario ripercorrere le tappe della storia e del mito legate ad Attis.
Il mito di Attis
Secondo la tradizione frigia, tutto cominciò da una svista di Zeus (Giove romano), da cui nacque il demone Agdistis. Mentre il dio cercava di accoppiarsi, sul monte Agdos, con la Grande Madre, tradendo ancora una volta Giunone, un pò del suo liquido seminale cadde involontariamente su una pietra. Da quel masso, prese vita un essere intermediario fra il mondo divino e il mondo umano, una figura ermafrodita di eccezionale potenza. Gli dei dell’Olimpo romano, spaventati dalla forza che avrebbe avuto il demone, somma delle caratteristiche maschili, del padre Zeus, e delle femminili, della madre Cibele, inviarono Dioniso (Bacco) ad evirarlo durante il sonno. Il sangue che ne sgorgò, però, generò un albero di melograno (o mandorlo), lasciando ad Agdistis soltanto la sua parte femminile. Più tardi, una ninfa, tale Nana, cogliendo un frutto da quell’albero ne rimase incinta e generò Attis (dal frigio, attagos, cioè allattato da una capra).
(Fonte: Fanpage)
Il bambino fu subito cacciato via, abbandonato sulle montagne, e allevato da alcuni pastori che lo trovarono. Tuttavia, diventato grande, la sua bellezza non passò inosservata né a Cibele né ad Agdistis, che se ne innamorarono perdutamente. Così, alle nozze di Attis con la figlia del re Mida (celebre per il suo tocco in grado di trasformare in oro qualsiasi cosa), le furie di Agdistis indussero tutti i presenti ad auto-evirarsi, compreso Attis. Che, mutilandosi sotto un pino, morì, lasciando il posto ad un prato di viole. Le conseguenze di questa morte, però, non tardarono a farsi sentire. E, dalla disperazione di Agdistis e Cibele, pentite del gesto compiuto, Zeus concesse una parziale resurrezione del defunto. Attis, dunque, si salvò e divenne da quel momento il cocchiere del carro della dea Cibele.
Il significato del mito per i romani
Ciò che i romani trassero da questa leggenda li portò, così, ad istituire un ciclo di celebrazioni in onore di questa divinità. Come il rito del Sanguem (o Dies Sanguinis), nel quale i partecipanti si tagliavano e si laceravano la pelle, con cocci, pugnali o spade, per spargere sull’albero-sacro (un pino) il loro sangue, in ricordo del sangue versato dal dio e trasformato in viole. Già durante il I secolo a.C., Attis cominciò a rappresentare, infatti, per il popolo romano, il ciclo vegetativo delle stagioni. In particolare, la sua morte e la sua resurrezione simboleggiavano, nell’immaginario dell’epoca (non ultima, l’interpretazione catulliana del mito, nel Liber Catullianus), la prosperità che sarebbe arrivata con l’avvento della primavera. Molti dei culti dedicati al dio, poi, presero il nome di Attideia, soprattutto in alcune colonie greco-romane, come la Puglia. Dalla storia di Attis, persino un imperatore di Roma, Flavio Claudio Giuliano, cominciò a scrivere un testo, il suo famoso Inno alla madre degli dei, dedicato a Cibele e al significato filosofico della figura del dio.
(Fonte: EreticaMente)
Infine, secondo lo storico ed etnografo Antonio Basili, il rito del sangue di Attis, sopravvisse alla polvere del tempo, associato alla settimana santa della Pasqua. L’esperto sostiene che, ancor oggi, si possano individuare tracce di quell’antico rituale a Nocera Terinese, un paese della provincia di Catanzaro, in Calabria. Si tratta di un rito di flagellazione, che mediante il “cardo”, uno pezzo di sughero con tredici pezzi di vetro incastonati, percuote cosce e gambe dei devoti. A tal proposito, scrive il Basile:
«[..] non è meraviglia che sopravviva ancora in un vecchio paese della Calabria il rito antichissimo del sangue: […] per la morte e la resurrezione di Attis esso rimane in Nocera Terinese, ma adottato alla commemorazione della morte e della resurrezione del Cristo, come sopravvivenza o meglio reviviscenza»
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