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Una delle terrazze più belle di Roma; uno degli affacci più emozionanti e romantici della città: il Giardino degli Aranci è sempre una certezza, per chi vuole stupire. Ma quale leggenda aleggia intorno a questo meraviglioso luogo?
Furono le sapienti mani dell’architetto Raffaele De Vico a trasformare questo magnifico luogo, nel 1932, in un parco aperto a tutti i visitatori. Fino a quel momento, il panorama del Giardino degli Aranci poteva essere ammirato privatamente soltanto dalla famiglia Savelli, proprietaria proprio lì di una sua roccaforte. Per oltre quattro secoli, questo strepitoso punto d’affaccio sul Cupolone e sull’intera città, parte di quel fortilizio edificato intorno al 1285 su un preesistente castello dei Crescenzi del X secolo, fu tenuto gelosamente chiuso al pubblico, fra le mura di quella fortezza di cui più tardi avrebbe conservato il nome, sotto l’appellativo di parco Savello.
(Fonte: la Rivista della Natura)
Pensate che luogo incredibile avremmo perso, se agli inizi degli anni Venti del ‘900, con la nuova definizione urbanistica della zona dell’Aventino, non fosse stato previsto di destinare, ad area pubblica, questo incantevole posto! Ma perché si chiama così? Nato con lo scopo di creare un nuovo belvedere, da affiancare a quelli già esistenti del Pincio e del Gianicolo, il parco assunse questo nome dalle piante d’arancio che tuttora ne ornano i giardini e attorno alle quali aleggia una suggestiva leggenda.
Secondo la tradizione fu San Domenico a trapiantare in Italia il primo esemplare d’arancio, nel 1220. Importato dalla Spagna, il santo decise di portarlo a Roma e di piantarlo esattamente qui, sul colle Aventino, all’interno del chiostro della chiesa di Santa Sabina. Ora, questo melangolo, arancio dai frutti amari, si rivelò tutt’altro che un semplice albero da frutta, capace al contrario di veri e propri miracoli. Non solo durante una predicazione di San Domenico, l’albero produsse da sé un’altra pianta, ma aiutò Santa Caterina da Siena, in visita a Roma intorno al 1300, a mitigare il rinomato caratteraccio di papa Urbano VI. Su l’occasione dell’incontro, infatti, pare che la santa si recò a raccogliere qui cinque arance, per poi candirle e portarle in dono al pontefice. Per questo motivo, quando il Giardino venne affidato alle cure dei monaci domenicani, dell’adiacente chiesa, e destinato ad orto, vi si decise di piantare i “figli” di quella prima pianta, miracolosi anch’essi e quindi vietati al tocco.
(Fonte: valter – blogger)
Ancor oggi, per i più curiosi, è possibile osservare l’albero da cui tutto ebbe inizio. Vi basterà sbirciare all’interno del foro aperto nel muro del portico della chiesa (non il buco della serratura del Priorato dei Cavalieri di Malta), per scorgere ben conservato, dopo oltre otto secoli, il celebre arancio miracoloso.
Le curiosità, però, non finiscono qui, perché oltre gli aranci miracolosi, anche la fontana, presente sul posto, gode di una storia tutta sua. Nonostante le sembianze e l’aspetto facciano pensare ad un unico blocco appositamente creato, in realtà sarebbe composta di due pezzi di spoglio. La parte inferiore risalirebbe addirittura ad epoca romana, nelle vesti di un’antica vasca termale; mentre il monumentale mascherone dai folti baffi, nella parte superiore, sarebbe stato posizionato definitivamente lì, dopo svariati viaggi in giro per la città.
Scolpito inizialmente per ornare una fontana di Giacomo della Porta, allo smantellamento della stessa, venne recuperato come abbellimento per la costruzione di una fontana sulla riva del Tevere. Tuttavia, il caso vuole, venne demolita anche questa e la scultura soggiornò fra i depositi comunali per decenni, prima di trovare la sua attuale collazione.
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