Daniele De Rossi, la bandiera della Roma anche in panchina
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È passato alla storia per essere stato un imperatore di Roma. A dire la verità, un imperatore tutt’altro che ordinario. Perché Caligola viene ancor oggi considerato bizzarro, strano o persino folle?
Non voleva lo si chiamasse in quel modo. Ma il danno ormai era stato fatto e già in tenera età. Caligola: così lo avevano soprannominato da bambino i soldati del padre, il generale romano Germanico, utilizzando un affettuoso vezzeggiativo. Letteralmente “piccola caliga”, il nome si riferiva alla calzatura tipica dei legionari. A quei sandaletti, cioè, che il giovane Gaio indossava per seguire il padre in battaglia. Eppure, passò alla storia proprio con quell’appellativo, anche se, purtroppo, non per quell’appellativo, ma per tutte le sue folli idee. Caligola salì al trono nel 37, dopo Tiberio, poco più che ventenne (24-25 anni, per la precisione). Fu il terzo imperatore di Roma. E, sebbene governò per soli quattro anni, le sue curiose decisioni lasciarono il segno.
(Fonte: Billenario Germanico)
Persino la sua proclamazione a princeps può definirsi particolare. Fu il senato a decidere, annullando il testamento del predecessore, che ad ereditare l’Impero dovesse essere Caligola. Dichiarando fuori di senno il lascito di Tiberio, e accogliendo le pressioni del popolo, i Patres, ignari della futura avversione, assicurarono all’Urbe un imperatore tanto acclamato dalle folle, quanto prodigo nei riguardi dei suoi cittadini – o, almeno così, sembrava -.
In meno di un anno le casse dello Stato romano furono svuotate (non è un eufemismo). Non furono solo gli sperperi personali e di corte a diluire il fondo monetario, ma le numerosissime elargizioni, o congiaria, che Caligola distribuì al popolo romano, agli eserciti, alla guardia pretoriana, alle provincie. Alcuni storici parlano, addirittura, di oro in polvere sulle pietanze, perle disciolte e bevute nell’aceto di vino, somme di denaro lanciate dalla Basilica Giulia, affianco il Foro Romano e navi di dimensioni spropositate (come quelle ritrovate al lago di Nemi) impreziosite di gemme rare e dotate di ogni comfort: terme, sale da pranzo, piantagioni di vite (!?) e via dicendo.
(Fonte: Periodico Italiano Magazine)
Caligola era ossessionato da se stesso, dalla possibilità di lasciare un’impronta di sé. Il suo egocentrismo lo portava a lodarsi, a farsi deificare da vivo al contrario degli altri imperatori e a riferirsi a se stesso come a un dio. Spesso credeva di essere Giove, di poter interloquire con gli altri dei, parlando da solo. Anche i suoi abiti remavano in questa direzione, principalmente ispirati ad eroi mitologici, divinità o semplicemente composti di sete pregiate e decorazioni costose. Una volta, millantando imprese militari mai avvenute e dure battaglie, di fatto, mai combattute, spinse le sue truppe oltre il Reno, verso l’oceano, portando con sé tutte le strumentazioni da guerra. Una volta raggiunta la spiaggia, però, fece scendere i suoi soldati e chiese loro di raccogliere conchiglie, termine probabilmente usato per indicare metaforicamente il corpo delle giovani fanciulle del luogo – altro che schieramenti armati e scontri!.
Tra le pazzie più celebri, poi, come non annoverare quella volta che cercò di nominare Incitatus console? Nulla di strano, direte voi, era un imperatore! Certo, se non fosse che, quello, era il nome del suo amato cavallo! Per il quale, schizzando ai vertici delle sue stranezze, aveva un’ossessione vera e propria. Così, per schernire i membri del Senato, considerati inferiori persino al suo destriero, Caligola pensò bene di cingerlo della carica più alta della magistratura romana.
(Fonte: Et In Arcadia Ego)
D’altra parte, l’episodio non era che un continuum ai trattamenti aristocratici che gli riservava ogni giorno. Incitatus, considerato alla stregua di un aristocratico, non viveva soltanto in una stalla di marmo e avorio, ma si cibava a tavola, da piatti dorati, insieme al suo padrone.
Insomma, al motto «mi odino pure, purché mi temano», l’imperatore dei numerosi ludi e spettacoli gratuiti, organizzati per ingraziarsi il popolo, poteva arrogarsi qualsiasi diritto, qualunque privilegio. Compresi quattro matrimoni, numerose amanti e – sembrerebbe – un incesto con la sorella Drusilla, per la quale, alla morte precoce, fece istituire il culto.
Neanche la morte fu usuale per Caligola, o meglio il suo avvento. Prima di morire, infatti, all’età di 28 anni, pare molti eventi ne preannunciarono il triste epilogo. Il giorno delle Idi di marzo, molti fulmini cominciarono ad abbattersi nel luogo della cospirazione cesarea, quasi ad indicare che, anche lui, come il suo lontano antenato, sarebbe morto nel medesimo modo, cioè assassinato. E, più tardi, anche le divinità Fortune di Anzio gli ribadirono il crudele destino facendo, in quell’occasione, il nome del futuro assassino, un certo Cassio. Per questo, Caligola pensò di risolvere la questione facendo uccidere il proconsole d’Asia, Cassio Longino.
(Fonte: Nomisma Aste numismatiche)
Tuttavia, dimenticò l’esistenza di un altro Cassio a Roma, ovvero Cassio Cherea, un tribuno della guardia pretoriana che, tra l’altro, ebbe effettivamente parte attiva nel suo omicidio. Il politico, infatti, aveva molto da rimproverare a Caligola. Soprattutto a livello personale, l’imperatore faceva continue battutine a sue spese. Sostenendo, pubblicamente, fosse effeminato, spesso si rivolgeva all’uomo chiamandolo “checca” (gunnis) e simulandone in maniera sgradevole le movenze.
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