Fabrizio Moro, il poeta ribelle di Roma
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Sono passati 8 anni dalla nomina di Jorge Mario Bergoglio a Vescovo di Roma; 8 anni dalle sue prime parole come pontefice. Ve la ricordate la messa d’insediamento di Papa Francesco?
Neanche gli atei hanno avuto da ridire quando è stato proclamato Papa il cardinale Bergoglio, ad oggi probabilmente il più audace riformatore fra i papi contemporanei. Soprattutto, dopo la sua scelta di chiamarsi Francesco e spogliarsi, come il santo, di tutti gli eccessi che una vita fra le mura vaticane avrebbe comportato. Come la scelta di continuare ad indossare la croce pettorale d’argento di quando predicava ancora in Argentina. Custodire: questa è stata la parola più usata dal pontefice durante la sua prima omelia, il 19 marzo del 2013. Sono passati 8 anni da quelle parole e, qualche giorno fa, il papa, riferendosi come allora alla storia di San Giuseppe, ha rincarato la dose. Ve lo ricordate il discorso d’insediamento che fece a San Pietro? Si celebrava proprio San Giuseppe quel giorno, e il Papa cominciò esattamente così: «Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato». Ed effettivamente lo era, ma lo è ancora, se ci atteniamo a ciò che seguì. Un’elaborazione puntuale del compito principale della Chiesa e della Santa Sede: quello di custodire e prendersi cura dell’umanità.
Come? Come fece il predecessore, san Giuseppe, «con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale» anche quando è difficile comprenderne gli eventi. E mentre il mondo intero ascoltava queste sue concitate affermazioni, a qualche giorno dal conclave nella Cappella Sistina, dalla celebre fumata bianca e dal suo primo “buonasera”, una nuova epoca stava iniziando. Diversa, né migliore, né peggiore dalle altre, sebbene i giudizi, positivi e negativi, sulle sue posizioni si sarebbero apprestati ad essere, comunque, bersagli all’ordine del giorno. Durante il suo primo discorso, Papa Francesco chiarì subito la sua posizione, prendendo come esemplare la vita di Giuseppe ché «In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!».
Frasi che, tralasciando le connessioni strettamente religiose, ognuno di noi dovrebbe tenere a mente, sempre. Perché custodire non è un compito riservato solo ai cristiani. Custodire è una dimensione che precede e appartiene a tutti, è una prerogativa che riguarda il mondo intero. È custodire «l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti». Questo l’impegno umanitario, ma anche ecologico se vogliamo, della Chiesa che da quel lontano 2013 il papa cerca di portare avanti a volte persino “con spregiudicatezza” come sostengono molti. Forse per via delle sue parole senza timore, come le ultime: «pregate come pappagalli». Insomma, un progetto che finora ha sicuramente apportato maggiore serenità all’interno del mondo cattolico, di cui non ultima la riconciliazione con la Chiesa Ortodossa.
(Fonte: Corriere)
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