Le tre P di Roma: Pier Paolo Pasolini, «una storia di periferia» | Roma.Com

Le tre P di Roma: Pier Paolo Pasolini, «una storia di periferia»

Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini, lo scrittore trapiantato a Roma più romano che la città abbia mai avuto! Scopriamo Roma attraverso le sue opere e la sua vita…

Pier Paolo Pasolini, il rapporto con Roma

È vero, Pier Paolo Pasolini non nacque a Roma, eppure riuscì a descrivere Roma con l’attenzione minuziosa di cui solo un vero romano poteva essere capace. Il viaggio verso Roma fu una necessità, per il ventisettenne futuro regista, sospeso dall’insegnamento ed espulso dal Partito Comunista: trapiantato nella città eterna insieme alla madre, intorno agli anni ’50, si stabilì in affitto, in una stanza malandata di piazza Costaguti. L’inizio del capitolo romano è all’insegna della miseria, per Pasolini: sbarcare il lunario non è facile, ma la Roma che gli si presenta agli occhi, appena sceso alla stazione, è «divina». Le borgate, la loro lingua e la loro vitalità quasi violenta, tanto eccentrica quanto confusionaria, ispirano sin da subito la sua produzione letteraria; più tardi, faranno lo stesso con quella cinematografica. La periferia romana diventa, per il poeta, la vera protagonista di un viaggio di ricerca e di scoperta, che lo accompagnerà fino alla tragica fine.

Da Roma 1950 – Diario al cinema

Pasolini plasma la Roma non mainstream attraverso i suoi scritti. Uno dopo l’altro si susseguono, puntuali, i riferimenti. Quartieri, vicoli, vie, inflessioni dialettali: tutto prende forma fra le sue pagine. Nel 1960 viene pubblicata la sua prima raccolta di poesie. Si tratta di un un diario dal titolo particolarmente evocativo: Roma 1950 – Diario. La città che si va definendo nei versi del bolognese-friulano è una città che gli ha restituito l’entusiasmo e la voglia di scrivere. Finalmente, trova lavoro in una scuola come docente e questo gli permette di trasferirsi in una casa più grande: è in via Tagliere, a Rebibbia; la mamma può smettere di fare la cameriera. Negli stessi anni, stringe le prime amicizie: personaggi del calibro di Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci.


(Fonte: Wikipedia)

Proprio grazie a quest’ultimo, firma il primo contratto editoriale per un’ Antologia della poesia dialettale del Novecento: uscirà nel dicembre del 1952; a recensirlo sarà Eugenio Montale. Più tardi, come sceneggiatore comincia le prime collaborazioni cinematografiche. Lascia l’insegnamento scolastico e si trasferisce di nuovo, stavolta in un appartamento di via Fonteiana, nel quartiere di Monteverde.

La Roma di Ragazzi di vita

È lì che comincia a scrivere Ragazzi di vita, romanzo che nel 1955 lo consacrerà al ruolo di scrittore centrale, del panorama culturale italiano. La storia descritta da Pasolini, ovviamente, si svolge a Roma, nella Roma disgraziata del dopoguerra. Gli stessi soprannomi, dati ai protagonisti, ne sono un eco. Ecco allora il Riccetto, il Begalone, Alduccio; ecco via dei Volsci a San Lorenzo, la barca sul Tevere, la passeggiata di notte a Villa Borghese, la ditta di Ponte Mammolo e il bagno nell’Aniene. È la vita di un gruppo di adolescenti del sottoproletariato urbano: gli espedienti, i lavori arrangiati, i furti; ma è anche un’accusa mirata al mondo borghese omertoso, al fianco prestato al consumismo di chi vede e non fa nulla.


(Fonte: Tempi)

Un libro, tanto crudele nel suo realismo, da scatenare persino inchieste a livello giudiziario, dalle quali fu assolto, grazie anche agli interventi, a suo favore, di critici letterari come Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti. D’altra parte, la personalità di Pasolini, piuttosto netta e politicamente schierata, anche in qualche sua celebre definizione, come quella di razionalmente ateo e anticlericale, non lo aiutava affatto, nel contesto dell’epoca.


(Fonte: Pinterest)

Sul finire degli anni ’50 inizierà la stesura definitiva delle Ceneri di Gramsci, di cui elogerà lo stile, addirittura, Italo Calvino; e della prima bozza di un’altro fra i suoi romanzi più noti, Una vita violenta. Il successo di Pasolini è soprattutto in strada, in mezzo alla gente, fra il pubblico e un consistente gruppo di letterati.

Accattone, per le strade del Pigneto 

Nel 1961, rifiutata la produzione da Fellini, Pier Paolo Pasolini non si perde d’animo e comincia ad ultimare le riprese del suo primo film, Accattone. In aiuto regia, un giovanissimo Bertolucci alle prime armi. Il film è interamente girato fra le strade del Pigneto, laddove prima di lui già Rossellini aveva dato vita al suo Roma città aperta, con Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Protagonista, ancora una volta, il destino scritto del sottoproletariato romano, vittima di una condizione di depressione a cui solo la morte può porre rimedio.

Sarà il primo film italiano ad ottenere il divieto di visione, per i minori di 18 anni. Il ’61 è però un anno ricco per Pasolini, che sta già pensando alla sceneggiatura di un altro suo famosissimo capolavoro cinematografico. La pellicola si chiama Mamma Roma e fra gli interpreti si legge il nome di Anna Magnani.

Mamma Roma 

Ancora presente è la borgata e Pasolini, stavolta, trae spunto da un fatto di cronaca: la tragica morte di Marcello Elisei, un giovane detenuto di 18 anni nel carcere di Regina Coeli, legato ad un letto di contenzione. La Mamma Roma pasoliniana è una prostituta decisa a voler cambiare vita, soprattutto per il figlio Ettore.


(Fonte: SALT Editions)

Gli inizi del film sono girati al Palazzo dei Ferrovieri di Casal Bertone. Le riprese della nuova casa, invece, nel quartiere popolare del Quadraro, tanto che spuntano maestose le rovine dell’adiacente Parco degli Acquedotti. Roma è una città cantiere, irriconoscibile per come è oggi. Sul finale, nella scena cruda della morte del figlio detenuto (a immagine del Cristo morto di Mantegna), Mamma Roma desisterà dal suicidio, guardando in lontananza la cupola della basilica di San Giovanni Bosco, allora in piena costruzione. Intanto, le denunce e i processi per la sfrontatezza di Pasolini non si attenuano. Tra i tanti, nel 1963, a seguito del sequestro de La ricotta, ricostruzione cinematografica della Passione di Cristo, quello per «vilipendio alla religione di Stato». Prese le sue parti, l’amico Alberto Moravia.

Cristo al Mandrione, Pasolini autore di canzoni

Sempre negli anni ’60 – l’ormai definibile romano – Pier Paolo Pasolini si dedica alla scrittura di alcune canzoni. Fra le altre, la famosa Cristo al Mandrione, inserita sul finire dei ’90 nell’album Ritorno al Futuro di Gabriella Ferri.

D’altra parte, via del Mandrione sarà l’ambientazione di una delle pellicole più vertiginose di Pasolini, nonché l’ultima, Salò, ispirata all’altrettanto difficilmente decifrabile libro Les Cent Vingt Journées de Sodome ou l’École du libertinage, del marchese D. A. François de Sade. Il primo capitolo, presto tacciato come emblema di assoluta trasgressione, di una pensata Trilogia della morte che il poeta-cineasta non porterà mai a termine.


(Fonte: Pinterest)

In campo musicale, inoltre, non si possono non menzionare le collaborazioni con Sergio Endrigo, per il quale scrisse un testo utilizzando i versi della sua raccolta La meglio Gioventù (1954); e con Domenico Modugno, insieme al quale scrisse Che cosa sono le nuvole. Successivamente, in ambito cinematografico seguirà la Trilogia della vita (idealmente elaborata come principio dell’altra, di Trilogia), composta da Il DecameronI racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte, i veri successi pluripremiati di Pasolini. Nel 1972 infine, iniziò Petrolio il suo ultimo romanzo rimasto incompiuto, ma pubblicato postumo nel 1992.

La tremenda morte di Pasolini

Pier Paolo Pasolini non vedrà mai la pubblicazione di quei suoi appunti, né la proiezione di quel suo ultimo film, Salò, uscito appena tre settimane dopo la sua tremenda morte e spesso identificato come il presunto lascito testamentario dello stesso regista, per via del nesso col suo oscuro omicidio. La morte di Pasolini fu inaspettata e tremenda: percosso, travolto e ucciso dalla sua stessa auto, sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Una storia sbagliata, così De André avrebbe più tardi definito, col suo brano, quell’assurdo finale. E Hostia si chiama tuttora il murales di Torpignattara, uno dei quartieri più frequentati dallo scrittore, sorto ad aprile 2017, sulla facciata di una palazzina in via Galeazzo Alessi.


(Fonte: Ecomuseo Casilino)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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