“Poemi di Terra Nera” è la mostra che parla al cuore e alla materia
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Era il 44 a.c. quando venne compiuta la congiura più celebre della storia dell’antica Roma, nelle famose Idi di marzo. Perché cospirarono contro Cesare?
Nel 60 a.C., con la sigla di un accordo privato, l’Accordo di Lucca, Giulio Cesare decise di allearsi con Crasso e Pompeo. Piuttosto influente tra le fila del popolo e dei popolari, per non dire beniamino delle folle, solo in questo modo il generale sarebbe riuscito ad assumere la carica di console. Nacque così il primo triumvirato di Roma: in forma segreta un accordo, stipulato a sei mani, di reciproca collaborazione per il predominio dello Stato romano.
(Fonte: Wikipedia)
Ovviamente, non senza specifiche e ferree clausole. Pompeo e Crasso, infatti, avrebbero appoggiato Cesare se – e solo se – una volta eletto console, avesse fatto approvare due dei loro provvedimenti: la distribuzione delle terre ai veterani di Pompeo; la proposta di Crasso di permettere ai cavalieri la gestione degli appalti. Un programma che Cesare rispettò in ogni sua parte, seppur con qualche dissapore da parte del senato. Nelle vesti di proconsole, e prima che scadesse il suo mandato, Cesare riuscì a farsi assegnare inoltre il governo delle legioni nella Gallia Cisalpina, nell’Illiria e, più tardi, in Gallia Norborese.
Tutto sembrava filare liscio, insomma, e il Triumvirato cominciava a dominare completamente la politica romana. Tuttavia, i primi disguidi non tardarono ad arrivare, e non furono poi così imprevisti. Sebbene fra Cesare e Crasso scorresse tutto sommato buon sangue, anche in virtù della loro comune visione politica, Pompeo, che già inizialmente non nascondeva la sua antipatia verso Crasso, cominciò a nutrire sempre più invidia nei confronti di Cesare e dei suoi successi nelle Gallie, temendone la fama in ascesa. Tanto perché, poi, piove sempre sul bagnato, ad aumentare le divergenza contribuirono anche due spiacevoli eventi: la morte di Crasso, contro i Parti, dunque di fatto la fine dell’alleanza; e la morte di Giulia, figlia di Cesare, precedentemente data in sposa a Pompeo, proprio in segno di “tregua”. Nel 52 a.C., dopo il nuovo sposalizio con la figlia di uno dei boni (fazione più conservatrice del senato), Pompeo fu eletto console senza il collega, schierandosi apertamente, e insieme al senato, contro l’ex triumviro. Le conseguenze di questo gesto gli furono fatali: non solo Cesare passò armato il Rubicone, dando avvio alla guerra civile, ma rifugiato in Egitto Pompeo fu assassinato da Tolomeo XIII, convinto di ingraziarsi in questo modo le simpatie di Roma.
(Fonte: Roma Impero)
Le guerre però non finirono qui. Prima alla volta dell’Egitto, poi alla volta dei sostenitori della causa pompeiana, per lo più ottimati, in Africa e in Spagna, Cesare si occupò di ristabilire l’ordine un po’ in tutto l’Impero. A Roma intanto era tornato console e, una volta rientrato, cominciò ad avviare una profonda riforma della Repubblica. Pur esercitando il suo potere entro i limiti costituzionali e dittatoriali, ogni cosa cadeva sostanzialmente sotto il suo controllo. Potete immaginare quanto questo facesse storcere il naso al senato e, più d’ogni altro, alla schiera dei suoi conservatori. Buona parte dei sostenitori della forma repubblicana, infatti, sentiva minata la propria posizione. Soprattutto, temeva l’evoluzione del regime in una vera e propria monarchia. Risultato, che cominciò ad essere inviso anche da qualche convinto cesariano. Oppositori interni ed oppositori esterni, risultava quindi chiaro il contesto della futura congiura.
Il 15 febbraio del 44 a.C., Cesare si presentò alla festa dei Lupercalia, vestito di porpora, seduto su un seggio dorato e incoronato d’alloro. Finito il rituale, Marco Antonio gli si avvicinò inaspettatamente per dargli in dono un diadema. Un mese dopo, durante le Idi di marzo, giorno festivo dedicato al dio della guerra Marte, un gruppo di congiuratori lo accerchiò nella Curia di Pompeo, (uno dei luoghi di riunione dell’epoca nei pressi di Largo di Torre Argentina), col pretesto di rendergli onore. Bell’onore ventitré pugnalate! Cesare cadde ai piedi della statua del suo acerrimo nemico Pompeo. Lo storico Svetonio lo descrisse così:
«Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: “Anche tu, figlio?”. Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi […] I congiurati avrebbero voluto gettare il corpo dell’ucciso nel Tevere, confiscare i suoi beni e annullare tutti i suoi atti, ma rinunciarono al proposito per paura del console Marco Antonio e del comandante della cavalleria Lepido»
(Fonte: Caserta Web)
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