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Che ai romani piacciano i fiori lo testimoniano diverse realtà cittadine come il roseto comunale, il giardino botanico o il Tulipark; che ai romani poi piaccia anche mangiare, bè, questo è ancor meno scontato! Se uniamo le due cose ecco che il risultato di tutto sarà un bel carciofo!
Chi li vole alla romana… chi li vole alla judia, er carciofo nun manca mai nei piatti mia! Cosi recita un famoso detto romano, che testimonia l’amore immenso e smisurato che i cittadini di Roma hanno nei confronti di questo grande fiore. Le ricette che sono nate nell’Urbe per poter mangiare questo alimento sono numerose ma con l’avvicinarsi della bella stagione e, quando si potrà, con la possibilità di fare qualche scampagnata, ecco che il carciofo diventa un alimento essenziale in una sbraciata. Dai Castelli Romani infatti arriva una delle ricette più buone e succulente per mangiare il carciofo, quella della matticella. Per gustare questa ricetta però dobbiamo procurarci un tipo di legna particolare, oltre ai vari ingredienti che adesso vi andremo a descrivere, che prende il nome proprio di matticella, tra poco scopriremo il perché.
Questa magnifica ricetta per cucinare i carciofi, nasce a Velletri, uno degli ultimi Castelli a sud di Roma. Come tutte le città che fanno parte di questa porzione di territorio, anche qui i contadini erano perlopiù coltivatori di vigna e ulivi e molto tempo fa alla fine dei filari venivano piantati i carciofi, visto che sono piante che non vogliono un terreno particolarmente lavorato per poter crescere. Per chi lavora in campagna, questo è il periodo della potatura della vigna e nelle epoche passate, quando il lavoro era rigorosamente a mano, una volta tagliati i rami in eccesso della vite, venivano raccolti in fascine, chiamate appunto matticelle. Questo legname veniva poi fatto essiccare e utilizzato per diversi scopi, quello che avanzava invece veniva bruciato e la cenere buttata nei filari di vite per concimare il terreno. Ora da qui sembrerebbe facile capire la nascita del carciofo alla matticella, ma per spiegarla meglio abbiamo bisogno della leggenda popolare.
Pare che un giorno, mentre in una campagna velletrana si era intenti proprio al lavoro di potatura della vigna, una tale Assuntina, figlia del contadino proprietario delle terre, avesse il compito di preparare la colazione di metà mattina per gli operai che lavoravano nei filari. Innamorata del suo Leopoldo, però Assuntina si era lasciata andare a baci e abbracci del suo amato senza accorgersi che il canestro in cui aveva riposto i carciofi appena raccolti aveva preso fuoco, facendoli cadere nella brace. Avvicinandosi l’ora della pausa, Assuntina si accorse der fattaccio e per non incorrere nella furia del padre e anche nella fame degli operai, lavorò di ingegno e provò a rimediare alla frittata; prese dell’aglio fresco, lo spezzettò e lo mise nel cuore del carciofo, dopo di che sminuzzò anche della mentuccia, che si sa cor carciofo è la morte sua, infine una bella passata di olio extra vergine di oliva e il gioco era fatto. Non appena il padre con gli operai arrivarono nel luogo della colazione, Assuntina li accolse presentando la nuova ricetta come un omaggio alla vite e ai carciofi, che nascevano e crescevano insieme sulla stessa terra. Appena assaggiata la nuova preparazione il padre corse subito nella cantina a prendere una cannata (una tipologia di brocca diversa però dalla fojetta) di vino per brindare a questo nuovo amore culinario nato direttamente in campagna. Così, tra un incidente e la necessità è nata la ricetta dei carciofi alla matticella.
Ricapitolando, se volete gustare questa prelibatezza dei Castelli sono necessari:
Il procedimento è molto semplice, una volta creata una grande brace in cui il carciofo può affogare quasi completamente, inserite al suo interno questo buonissimo fiore condito al suo interno con olio (in abbondanza), aglio, mentuccia e sale. Una volta che il cuore sarà diventato tenero sarà il momento di tirarli fuori dalla brace. Il tutto si potrà servire incastrando il piccolo gambo del carciofo su una fetta di pane brucato, affiancato da un buon vino, rigorosamente dei Castelli, quindi togliete le foglie bruciate e gustate la prelibatezza.
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