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A chi pensa di essere qualcuno, a chi non si rassegna all’essere nessuno e a fare di questo nessuno, in realtà, qualcuno, nasceva il 27 dicembre del 1944 a Roma la corrente del qualunquismo. Sapete cos’era?
«Io sono quello che non crede più a niente e a nessuno. Io sono l’Uomo Qualunque», così Guglielmo Giannini chiudeva l’editoriale ultimo del primo numero dell’Uomo Qualunque, settimanale da lui ideato, che vide per la prima volta la luce nelle edicole romane il 27 dicembre del 1944. In un’Italia distrutta dalla guerra, dalle perdite, dalla fame e dalla miseria, s’istituiva per la prima volta la critica alle istituzioni e ai politi dell’epoca, occupati a tenersi stretta la poltrona, anziché a far qualcosa: questa era la premessa alla nascita del Qualunquismo.
(Fonte: Wikipedia)
A fare da padrona, la vecchia buona satira romana, modalità già largamente nota a Roma nelle vesti di Pasquino, e rispolverata per l’occasione, in attacco diretto e spudorato alla condizione in cui ogni città del Bel paese, e ogni suo abitante, riversava. Dal taglio ironico sottile, tanto la penna di questo noto scrittore partenopeo, quanto le matite dei disegnatori Livio Apolloni e Giuseppe Russo, si impegnarono a definire l’innovativo obiettivo di quella che, di lì a breve, avrebbe assunto il nome di corrente del Qualunquismo. Di cosa si trattava?
Oggi utilizzato come attributo dispregiativo, l’essere qualunquista sfociò in Italia, al contrario, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, in un vero e proprio movimento, di cui la nascita del giornale si fece portavoce concreto. Basato sull’idea di una messa in discussione dell’attività politica, vista come distante, perniciosa o comunque di disturbo, all’autonomo perseguimento delle scelte individuali, il Qualunquismo, in relazione con l’insoddisfazione e la depressione del momento storico, sosteneva, mediante l’uso di una satira sfacciata, l’uguaglianza di ogni politico nella gestione della res pubblica.
(Fonte: AbeBooks)
In altre parole, indifferentemente dal rappresentante, i risultati restavano gli stessi, così come chi ne faceva le spese: sfruttamento, sterili discussioni ed impoverimento, a discapito dei cittadini. Per questo, gli strumenti maggiormente utilizzati dall’Uomo Qualunque erano le caricature, le beffe e le battute pungenti. Come un moderno Pasquino o un astuto poeta romanesco, le pagine riportavano nero su bianco i feroci attacchi, talvolta gli insulti, alla mala-gestione dei drammi di quel periodo.
Ad assolvere al ruolo, in particolare, divenne molto celebre la rubrica de Le Vespe, perfetta applicazione e affinamento di tutto lo scherno satirico del Giannini. Scherzosamente definita come “rubrica di pettegolezzi“, Le Vespe riportava non solo aneddoti curiosi, ma temi a forte impatto politico e morale. Perciò l’uso delle parolacce, ben presto, distintive dello stesso settimanale e dispensate a più riprese come mezzi dell’opposizione: Le Vespe, come dice il nome stesso, avevano il compito di pungere e di opporsi, nel più acuto anarchismo, ad ogni forma di potere. In questo, anche il linguaggio, anzi, soprattutto esso, assunse il ruolo di strumento essenziale ed evocativo: la prima forma di differenziazione, alla misura e alla terminologia ricercata dei politici, doveva avvenire anche attraverso l’uso di altre parole, di un’altra modalità d’espressione, per esempio le barzellette.
(Fonte: openDemocracy)
Non passò molto tempo dalla costruzione di un vero e proprio partito di qualunquisti, segno di una sistematicità e di una razionalizzazione di cui attualmente, invece, lo stesso vocabolo “qualunquista” non gode. Il partito dei qualunquisti o dell’ideologia dell’antipolitica ottenne il 5,3% dei voti alle elezioni politiche del 1946 e 30 deputati all’Assemblea costituente, tra cui lo stesso Giannini, capogruppo alla Camera. Con gli anni, poi, si andò perdendo l’interesse, anche a causa di un declino interno alla gestione del partito stesso, fino alla chiusura definitiva nel 1949.
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