Il sogno di Ulisse Aldrovandi in mostra al Museo di Zoologia di Roma
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Consistevano in dei rituali attraverso i quali si rendeva omaggio ai defunti. Stabilivano un contatto con loro, in modo particolare nella giornata del 21 febbraio, dato che secondo delle antiche credenze, i defunti circolavano liberi sulla terra.
Era una festa a cui gli antichi romani erano molto legati, perchè permetteva loro di rendere omaggio ai defunti. Ai tempi corrispondeva infatti al nostro 2 novembre, il giorno che oggi dedichiamo ai defunti, andando a fare visita ai loro sepolcri.
Per loro questo momento era talmente importante, a tal punto che era stato pure riportato sulle leggi romane con la dicitura “Deorum Manium iura sancta sunt”, che in italiano si traduce in “Siano sacrosante le leggi delle divinità dei defunti”.
Non si svolgeva però in una sola giornata, ma nell’arco di un’intera settimana, esattamente tra il 13 e il 21 febbraio. I giorni più importanti erano però il primo e l’ultimo, dato che era in quei momenti che si svolgevano i risultati più importanti.
Secondo le credenze degli antichi romani, era soprattutto nell’ultimo giorno della festa che si dovevano praticare alcuni particolari rituali in onore dei defunti, perchè sembra che il 21 febbraio di ogni anno, questi entravano in contatto con il mondo dei vivi e girovagavano per le città.
Non sempre però era certo che nel loro girare tra i vivi, i morti avessero delle buone intenzioni, anzi. Bisognava infatti prestare una certa attenzione, per questa ragione in occasione di questo rituale non si celebravano matrimoni, ma si spegnevano i fuochi sacri e si chiudevano le porte dei templi.
In compenso però, si lasciavano davanti alle porte delle case, delle ciotole con i cereali, con il pane bagnato e infine delle violette. Rappresentavano i doni per i morti.
Nel corso dei Parentalia, si omaggiavano i defunti dal 14 al 20 febbraio, andando a fare visita nelle loro tombe e portando loro delle ghirlande fiorite.
Il 21 però chiunque si riuniva per praticare un rituale, che ripercorreva un mito, quello di Lara, una donna che era stata prima amata da Giove e poi punita da lui stesso perchè aveva confessato a sua moglie Giunone, l’amore che lui provava per la sorella Giuturna.
In questo rito quindi un’anziana donna rappresentava Lara e sette fanciulle raffiguravano le sue accompagnatrici. La signora aveva il compito di bruciare l’incenso e di mettere in bocca sette fave.
Era molto particolare, ma allo stesso tempo importantissimo per i romani, dato che chiudeva questo contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
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