Fabrizio Moro, il poeta ribelle di Roma
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Per chi non lo conoscesse – cosa alquanto strana -, non stiamo parlando di uno chef, ma di uno dei maggiori registi della storia del cinema: Sergio Leone, la rivoluzione cinematografica firmata Roma!
Il 3 Gennaio 1929 nasceva, poco lontano dalla meravigliosa Fontana di Trevi, a Palazzo Lazzaroni in Via dei Lucchesi, un bambino dal nome Sergio Leone. Figlio d’arte – papà Roberto era stato uno dei grandi registi del primo cinema muto in Italia, mentre mamma Bice Waleran una grande attrice di teatro e cinema negli anni ’10 – quel bambino, poi trasferito con la famiglia a Trastevere, si rivelò presto uno dei più geniali ed estrosi registi del secolo passato. Passione innata per le pellicole statunitensi, già in tenera età, Sergio Leone cominciò a nutrire grande ammirazione per artisti del calibro di John Ford e Charlie Chaplin (di derivazione paterna, probabilmente) e, raggiunta la maggiore età, cominciò a lavorare in campo cinematografico. Di lì, il passo fu breve, perché dalle prime comparse in Ladri di biciclette, di cui fu persino assistente non retribuito, gavetta e carriera non tardarono a mescolarsi.
(Fonte: Ulisse online)
La sua presenza dietro le quinte, infatti, si mostrò da subito fondamentale, non solo nello sviluppo delle sue capacità, ma nella realizzazione stessa dei film a cui prendeva parte. Nel periodo della cosiddetta Hollywood sul Tevere, l’aiuto di Sergio Leone non passò inosservato, in Quo vadis di Mervyn LeRoy (1951) e soprattutto nel colossal Ben-Hur di William Wyler (1959), vincitore di 11 premi Oscar, nel quale egli stesso diresse la celebre scena del “duello delle quadrighe”.
Negli anni ’60, quando finalmente riuscì a dirigere un suo film, la fama del suo grande intuito divenne assoluta: Il colosso di Rodi trama avvincente, quanto spettacolare, dimostrò in maniera definitiva le abilità di Sergio Leone e a dirlo era il film stesso. Sebbene il budget particolarmente ridotto, il regista romano era riuscito nell’impresa di dar vita ad un’opera di incredibile qualità! Da quel primo lavoro, passarono pochi anni e, avviandosi alla riscoperta del genere western, la sua vera vocazione, Sergio si inserì per sempre nel filone dei registi più importanti al mondo. Da Per un pugno di dollari (1964) a Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966) – conosciuta ai più come trilogia del dollaro – Sergio Leone riuscì a rivoluzionare il mondo del Cinema. E, d’altra parte, fu grazie al suo fiuto che Clint Eastwood divenne uno degli attori più noti di Hollywood. Non ultimo, poi, il suo rapporto col compositore Ennio Morricone: un’amicizia che, nata sui banchi di scuola delle elementari, si protrasse negli anni anche in campo lavorativo, esibendosi nelle sublimi colonne sonore dei film.
Bisognerà, infine, aspettare il 1984 per veder realizzata la pellicola più perfetta di Leone, C’era una volta in America, terzo capitolo della cosiddetta trilogia del tempo, preceduto da C’era una volta il West (1968) e Giù la testa (1971): non un film, ma un capolavoro di regia, di sceneggiatura e di fotografia. Un film che riuscirà ad andare ben oltre qualsiasi genere, rimescolando le carte della cinematografia, non essendo solo un noir e, insieme, un gangster movie, ma tanto di più.
(Fonte: RaiPlay)
Concludendo, anche se di omaggi non ne basterebbero milioni, a tutti nota è la sua produzione di due fra le prime espressioni artistiche di Carlo Verdone: si trattava di Un sacco bello (1980) e di Bianco, rosso e Verdone (1981). Insomma, Sergio Leone fu il maestro di molti, non a caso Tarantino lo definì il primo regista post-moderno, influenza di numerosissime regie, e Kubrick disse che, senza aver visto Il buono, il brutto, il cattivo, non avrebbe potuto realizzare Arancia meccanica!
Eppure, sapete che non ha mai imparato bene la lingua inglese? Durante le riprese dei suoi film, spesso interpretati da attori americani, il regista si muniva infatti di un’interprete, per venirne a capo. E tuttavia, in un’occasione, questa sua carenza, gli salvò la vita! Era il 1969, Leone era stato invitato per un dopocena da Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, ma rifiutò l’invito, proprio perché si sarebbe sentito profondamente a disagio, non potendo interloquire con nessuno dei presenti. Tanto basto alla sua sopravvivenza, perché Charles Manson e la sua banda di pazzi trasformarono quella serata in uno dei più orrendi massacri della storia americana! Altra curiosità è relativa, invece, all’idea del suo ultimo film, quello sull’Assedio di Leningrado, un progetto che aveva in mente dagli anni ’70. Il regista romano, non riuscì mai a realizzarlo, morendo nel 1989, ma al suo posto e prendendovi spunto, nel 2001, sarà il regista francese Jean-Jaques Annaud a farne uno dei suoi film più celebri, Il Nemico alle Porte, lanciando definitivamente la carriera di una giovane Jude Law.
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