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Iniziavano a metà febbraio e duravano per un giorno interno, ma cosa si festeggiava a Roma con i Qurinalia?
Iniziavano il 17 febbraio ed erano dedicate al dio Quirino. Perché si festeggiavano i Quirinalia? Istituiti da Numa Pompilio, i Quirinalia erano l’occasione, per chi l’avesse dimenticato, di compiere i riti prescritti nelle precedenti feste dalle singole curie. Cos’erano le curie? Con il termine curia, i romani, ai primordi della monarchia, indicavano la suddivisione della popolazione di Roma in varie tribù, ognuna afferente ad un determinato territorio, di cui poi prendeva il nome.
Ogni tribù a sua volta partecipava della decisioni dello stato, radunandosi per discutere gli affari più urgenti.
Ora, durante le festività dei Qurinalia, in qualche misura i cittadini potevano essere liberi di considerarsi tali, senza riconoscersi, per un solo giorno, nella propria curia di appartenenza. Da notare è che, questo porterà nel tempo a passare dalle assemblee curiali alle assemblee popolari.
Il dio Quirino, oltre ad essere il dio di queste curie, passò poi nel corso degli anni ad essere considerato il protettore delle attività pacifiche degli uomini liberi. Con diverse funzioni e simbologie, non era raro trovarlo associato a Romolo, primo re di Roma. Diversi dibattiti c’erano, inoltre, intorno al suo nome. Circolavano in particolare tre ipotesi: per la prima, si riteneva che l’epiteto derivasse da curis, la punta della lancia usata dai sabini; per la seconda, si associava alla città di Cures, patria di Tito Tazio, che ne aveva introdotto, secondo quest’idea, il culto a Roma; per la terza, era collegato al termine quiriti, definizione con la quale i romani parlavano di se stessi, in qualità di cittadini dell’Urbe. Tuttavia, studi storiografici recenti, connettono il dio Quirino sia a curia sia a quiriti, ampliando il ruolo della divinità. Il dio Quirino sarebbe al contempo, quindi, patrono delle curie e degli uomini in esse riuniti.
Durante i Quirinalia, infine, era concessa la celebrazione del rito della prima torrefazione del farro.
A partecipare erano sopratutto coloro che, in precedenza, non l’avevano fatto, per stoltezza o per dimenticanza. Per questo era anche chiamata la festa degli stolti. La festività era quindi rivolta, in maniera più diretta, a chi si era sottratto agli ordini interni del proprio gruppo, della propria curia, e con stoltezza era contravvenuto alle regole. L’unica alternativa che gli restava diventava dunque quella di rifugiarsi nella religione, cercando di rimediare alla mancanza, quanto meno sul piano spirituale, attuando il rito religioso.
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