Il "fulgur conditum": i fulmini sepolti nell'antica Roma | Roma.Com

Il “fulgur conditum”: i fulmini sepolti nell’antica Roma

Popolo di primati e invenzioni, c’è da dire però che gli antichi romani avevano abitudini anche piuttosto particolari. Una fra tutte il “fulgur conditium”, una pratica con la quale seppellivano i fulmini. Si, avete capito bene, li seppellivano! Vediamo insieme in cosa consisteva di preciso…

Il Fulgur conditum 

Tra i principali autori romani ne hanno parlato, in alcuni loro scritti, sia Plinio il Vecchio sia Seneca: il rito del Fulgur conditum, anche detto Bidental, era una una pratica piuttosto in voga in epoca romana classica. In cosa consisteva? Tipica consuetudine dei cittadini, col Fulgar conditum gli antichi segnalavano le zone colpite dai fulmini. La curiosità di questo rituale era però il modo in cui si procedeva ad indicare questo luogo: delimitato da un recinto sacro, nello spazio in cui il fulmine si era scaricato a terra, veniva scavata una fossa che, successivamente, i romani provvedevano a riempire con tutto ciò che poteva esser stato colpito. Infine, vi adagiavano sopra un’epigrafe, quasi si trattasse di una comune sepoltura, ed era a questo punto che il luogo diveniva sacro, assumendo il nome di Bidental. Col termine si rimandava, secondo due diverse ipotesi, infatti, o alla forma con cui solitamente si rappresentavano i fulmini, o alla vittima (una pecora a due denti) che i cittadini sacrificavano sul posto, una volta eretto il sepolcro, per espiare la paura dell’evento, onorare il sacrario e sconfessare l’eventualità di un’altra sciagura simile.


(Fonte: la Repubblica)

I libri fulgurales  

Ora, da alcune fonti, pare che questa tradizione avesse radici ancora più lontane, di quelle legate alla sola società romana. Furono, infatti, gli etruschi a redigere per primi numerosi studi e ricerche sui fulmini, inserendone le descrizioni all’interno del prontuario dei libri fulgurales. Testi che, oltre ad indicare le varie casistiche e le varie cause, elencavano le varie tipologie, di queste scariche elettriche. Ovviamente, come potete immaginare, neanche tentavano di darne spiegazioni scientifiche. Come altri fenomeni atmosferici, anche i fulmini venivano associati agli umori delle divinità. In particolare, erano 9 gli dei capaci di tali conseguenze: Giunone, Vulcano, Marte, Giove, Saturno, Minerva e gli arcaici Summano (dio dei tuoni), Veiove (protettore dell’Asylum, bosco di rifugio che si trovava nella sella del Campidoglio) e Sanco  (d’origine sabina, il dio dei giuramenti). Scagliare fulmini, dunque, equivaleva, per gli antichi, alla modalità di comunicazione degli dei: era attraverso questi che le divinità esprimevano i loro sentimenti negativi nei riguardi dell’uomo, quindi il disappunto ad alcune loro azioni ritenute scorrette, ma anche l’ira, la collera e l’avversità. Fulmini, saette e lampi diventavano allora segni di qualcosa, persino di qualcosa che sarebbe accaduto di lì a breve, assumendo un vero e proprio valore premonitore.

Il ruolo degli aruspici

All’occorrenza, quindi, toccava agli aruspici provare ad interpretarne le motivazioni. Un lavoro che, gli stessi, dividevano in tre fasi: l’esplorazione, ovvero l’analisi del fulmine, il suo colore, il suo frastuono e, in generale, la tipologia di accaduto; la spiegazione e definizione; e la scelta di come, e cosa fare, per ingraziarsi di nuovo il dio arrabbiato, cioè decidere in sostanza con quale sacrificio o cerimonia portarlo di nuovo dalla propria parte.
Tra gli imperatori di Roma, infine, ce ne fu uno talmente spaventato dai fulmini da far erigere un tempio a Giove Tonante, che poi andò distrutto a causa di un incendio. Stiamo parlando di Augusto che, durante una marcia notturna in Spagna, mentre veniva trasportato su una lettiga, vide colpire da un fulmine il servitore che lo precedeva. Per questo motivo, fece costruire il tempio: per ringraziare la divinità di avergli concesso la salvezza, come si evince dalle parole del De vita Caesarum di Svetonio.

«Consacrò un tempio a Giove Tonante per uno scampato pericolo: durante una marcia notturna, al tempo della spedizione contro i Cantabri, un fulmine aveva colpito la parte anteriore della sua lettiga e ucciso il servo che lo precedeva con una fiaccola»


(Fonte: la Repubblica)

 

 

 

 

 

 

 

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