A Piazza Vittorio, c’è un’antica porta monumentale, nascosta sotto le spoglie di un famoso arco, sapete quale?
La porta nascosta di Piazza Vittorio
Piazza Vittorio, probabilmente ci sarete passati davanti tantissime volte, ma lo sapevate che il famoso Arco di Gallieno, situato in via San Vito, in origine era una porta? Si trattava di uno degli accessi delle Mura Serviane.
Nell’antichità lì sorgeva, infatti, la porta Esquilina, completamente rivestita in marmo di Travertino, a tre fornici, e voluta dall’imperatore Augusto. Solo intorno al 262 d.C la porta assunse le sembianze di un arco, ad opera dell’allora prefetto dell’Urbe Marco Aurelio Vittore, per onorare l’imperatore Publio Licinio Egnazio Gallieno e sua moglie. A dimostrarlo, sul monumento svetta ancor oggi un’iscrizione che, ripetuta su entrambi i lati, porta la scritta: «Gallieno clementissimo principi cuius Invicta virtus sola pietate superata est et salonianae sanctissimae aug(ustae) – aurelius victor v(ir) e(gregius) dicatissimus numini maiestatique esorum». Tradotto: «A Gallieno, clementissimo principe, il valore invitto del quale è superato solo dalla religiosità, e a Salonina, virtuosissima Augusta – Aurelio Vittore, uomo egregio, devotissimo agli dei ed alle loro maestà».
L’Arco di Gallieno
Quando si decise, nel 1477, di costruire la Chiesa di San Vito e San Modesto, inoltre, i fornici laterali vennero smantellati e l’iscrizione d’età augustea venne cancellata, lasciando solo qualche traccia della sua precedente esistenza. Eppure, quando ancora l’arco era una porta, lì si potevano prendere due famose vie romane: la famosa via Labicana, ovvero la strada che conduceva a Labico, attuale comune di Montecompatri, sito all’interno del Parco Regionale dei Castelli Romani, e sorto su una collina di origine vulcanica formata prevalentemente di tufo; e via Prenestina, chiamata così per l’antico nome di Palestrina, cioè Praeneste.
Da un’incisione del 1600 sappiamo inoltre che, sull’arco, furono appese fino al 1825 le chiavi della Porta Salcicchia, oggi Porta San Pietro, una delle più antiche di Viterbo, chiamata in quel modo per i silices, ovvero i selci con cui era pavimentata la strada. Il fatto poteva spiegarsi, comunque, come un segno di sudditanza della zona del viterbese a Roma.
I venditori di vettovaglie, Niccolò V e la congiura di Porcari
Una piccola curiosità su questo luogo risale, infine, all’epoca di papa Niccolò V, fra la prima e la seconda metà del 1400.
In quegli anni, infatti, l’Arco assunse il ruolo di zona franca, per i venditori di suppellettili e vettovaglie ai pellegrini diretti alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Va ricordato che, tra i provvedimenti del papa, relativi alla città, nel 1452 c’era stata, infatti, la nuova stesura degli Statuti dei Maestri delle strade, con cui la Santa Sede stabiliva un rigido controllo degli spazi pubblici e affidava a un senatore il compito di perseguire e giudicare i ladri e i rapinatori. Il rapporto fra Niccolò V e il gruppo sociale dei mercanti e dei proprietari fondiari era quindi piuttosto complicato, soprattutto perché, mentre questi chiedevano maggior autonomia, il potere della chiesa tendeva a centralizzare tutto nelle proprie mani e ad appoggiare, con scelte politiche mirate, le ricche famiglie aristocratiche di Roma, come i Colonna e gli Orsini. La situazione peggiorò, poi, con la congiura “repubblicana” di Stefano Porcari, sventata da Niccolò, grazie ad un tradimento interno, e punita con l’impiccagione di Porcari ai merli di Castel Sant’Angelo.
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