I Lupercalia: l’antica festa romana tra riti e leggenda
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Ognuno di voi avrà visto, almeno una volta nella vita, quel magnifico film che è Il gladiatore e, di conseguenza, si sarà commosso per la sua avvincente trama: la storia di un uomo che, da comandante diventa schiavo e gladiatore. Posto che, attualmente e fortunatamente, tutti condividiamo la lotta contro lo schiavismo, cos’era la schiavitù nell’antica Roma?
Gli antichi romani ci hanno lasciato, in eredità, tanti patrimoni: ogni bellezza di Roma, dal Colosseo ai Fori Imperiali, risale a millenni di anni fa; ed è questo a renderci, come ieri, fieri abitanti della Caput Mundi. Orgogliosi, sfoggiamo al mondo le nostre meraviglie, tanto ovvie per chi le ha sempre sotto gli occhi, quanto uniche a chi le osserva per la prima volta. Si sa, i romani primeggiarono in molti ambiti, persino nell’igiene, e riuscirono a progettare, prima di altri, numerosi strumenti, in grado di migliorare il loro stile di vita: gli acquedotti furono solo uno degli esempi più eclatanti, senza contare i mulini sul Tevere. Tuttavia, come ogni popolo antico, si macchiarono di sangue: nella spietata corsa alla conquista di potenza e territori, distrussero intere popolazioni, spesso sottomettendone le genti o uccidendone brutalmente i capi. Per i più fortunati, la vita poteva continuare a girare allo stesso modo, seppur sotto leggi romane, ma questa sorte era riservata a pochi, perché ogni fase di Roma si portò dietro, oltre l’ammirazione e la grandezza, il triste fardello della schiavitù.
(Fonte: Fanpage)
Così, sebbene quando catturati dai nemici considerassero questa spietata pratica come la peggiore delle sventure, la più alta forma d’infamia possibile, superiore addirittura alla pena di morte, gli stessi romani, prima di estendere la cittadinanza, non si fecero scrupoli a ridurre numerose persone in schiavitù. In lingua latina, lo schiavo era il servus oppure l’ancillus ed era gestito dal titolare del diritto di proprietà, il dominus. Diventare schiavo dipendeva da più motivazioni: esisteva una vera e propria regolamentazione in merito. Si poteva essere ridotti a servi, insomma, per più ragioni: per nascita da una donna già schiava; per perdita della propria condizione di libero; per debiti non saldati; perché prigionieri di guerra; per una pena che lo prevedeva e via dicendo. A tutti nota, però, la stringente normativa romana non tardò ad inserire lo schiavo – soltanto in qualità di essere umano, sia ben inteso – all’interno della ius riguardante la persona. Seppur in una posizione piuttosto anomala, regolarizzare la posizione degli schiavi aveva per Roma, infatti, una grande importanza economica e sociale. Gli schiavi erano cose e come ogni oggetto potevano essere venduti o trattati come merci da baratto.
(Fonte: Cineblog)
Non a caso, nel film Il gladiatore, che ha compiuto 20 anni quest’anno dalla sua prima uscita, il premio oscar Russell Crowe, nei panni di Massimo Decimo Meridio, sopravvissuto al tentato omicidio da parte di Commodo (Joaquin Phoenix), viene catturato da un mercante di schiavi, per poi essere venduto a Proximo. Rappresentazione, questa, piuttosto realistica delle modalità di trattamento riservate agli schiavi.
L’unica concessione permessa, infatti, nei confronti di questi servitori, era il peculium, un sorta di “pagamento”. In altre parole, i proprietari potevano conferire agli schiavi una somma di denaro o dei beni che, sebbene di loro proprietà, potevano essere usati o gestiti, per ordini e scopi ben precisi, dai servi stessi. Questo permetteva loro non solo di lavorare con terzi, ma di accrescere il loro patrimonio, assolvendo agli obblighi assunti. Per questo motivo, tra l’altro, fu istituito il divieto, per il padrone, di metter bocca o di pretendere dal terzo la restituzione di quanto dato dal servo in adempimento di un obbligo. Certo, non migliorava la loro posizione, comunque inumana, ma almeno in minima parte “li tutelava”.
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