“Il tempo del futurismo”, la mostra che si interroga sul rapporto tra arte e scienza
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Era il 10 marzo del 1791, quando un Papa con un breve scritto si secherò apertamente contro una parte del clero francese. Perché?
Oltre due secoli fa, un fatto ecclesiastico, scosse la chiesa dall’interno. Il papa si contrappose allora contro una parte del clero. Immaginate di essere in Francia nel XVIII secolo. Siamo nel pieno dell’Ancien Régime. Il rapporto tra la Chiesa cattolica e le prima guerriglie rivoluzionarie francesi comincia a farsi piuttosto instabile. Ma resistono. Entrambe le parti cercano di mantenersi in equilibrio sul quel filo precario, e pronto a rompersi, che è il loro accordo. Nel 1790, con Parigi in subbuglio e piena di barricate, l’Assemblea nazionale costituente approva la Costituzione Civile del Clero.
I primi screzi tra Roma e la chiesa francese cominciano a farsi allora evidenti. La chiesa francese con questo documento diventa soggetta alle decisioni dello stato, ristabilendo, in piena Rivoluzione francese, il legame Stato-Chiesa che era stato invece appena distrutto. Non solo i chierici dovevano prestare giuramento allo stato francese, ma dovevano seguire le direttive di questa nuova Costituzione.
Dall’interno, il mondo ecclesiastico si ritrova d’improvviso scisso in due: da un lato coloro che accettano, senza problemi, lo stato di cose; dall’altro quelli che si rifiutano di firmare. E se Pio VI all’inizio cerca di essere molto prudente, soprattutto per mantenere Avignone, enclave pontificio in territorio francese a rischio conquista da parte dei rivoluzionari, la situazione precipita presto. Così, a nulla serve l’appello che scrive, affinché non venga approvata la Costituzione. La sua lettera arriva un giorno dopo la promulgazione della legge: troppo tardi, per riuscire a fare qualcosa.
Per questo motivo, il 10 marzo del 1791, Pio VI emana il breve Quod aliquantum. Una condanna senza appello alla Costituzione Civile del Clero, dunque a parte del clero francese, e all’operato dell’Assemblea Costituente. Alla base, due motivazioni: una teologica, l’altra giuridica.
«[…] la Costituzione Civile del Clero ha realmente abrogato tutta la potestà del Capo della Chiesa, vietando ai Vescovi di avere con Noi qualsiasi rapporto, se non il solo di avvertirci di quanto è già stato fatto e compiuto senza il Nostro intervento», si legge in un punto.
Se da un punto di vista teologico, la Costituzione era un tentativo di minare dall’interno la Chiesa e il ruolo del Vaticano; politicamente, lo stato si stava arrogando il diritto di decidere in ambito spirituale. Papa Pio VI critica insieme la Rivoluzione, definendola apocalittica e sbagliata, perché distruttrice dell’ordine voluto da dio ed espresso con l’Ancien Régime.
Per la stessa idea, è contrario alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), che vuole legiferare al posto di dio, contrapponendo i diritti del divino a quelli dell’uomo. La Chiesa cattolica di Roma diventa, insomma, una delle principali nemiche della Rivoluzione. E lo stato francese si era comportato, per il pontefice, allo stesso modo di Enrico VIII. Si era voluto attribuire, come il re, un potere, quello spirituale, che era di pertinenza della Chiesa mediante «regolamenti contrari al dogma e alla disciplina», come sosteneva il papa.
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