Carmentalia, un’antica celebrazione di sapienza e profezia
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Il Parco archeologico del Colosseo dedica una mostra a Giacomo Boni, archeologo e architetto che ridefinì l’attuale fisionomia del Foro Romano e del Palatino. Vediamo di cosa si tratta.
Giacomo Boni, però, diversamente da chi l’ha preceduto, vuole condividere l’importanza dei suoi ritrovi col pubblico. Le scoperte che fa hanno un valore e lo hanno per tutti, perché sono la storia di tutti. Allora ricorre ad un linguaggio nuovo, non al classico vocabolario di paroloni accademici; a quello e alla fotografia, che rende tutto più chiaro, più reale e più vicino a chi lo osserva.
Porta in luce il Tempio di Vesta; il complesso della fonte sacra di Giunturna; il Lapis Niger che molti associano a Romolo; la chiesa medievale di Santa Maria Antiqua e i sui cicli pittorici bizantini; e il sepolcro arcaico, da cui si stabilisce la vita protostorica dell’area del Foro Romano. Infine, passa sul colle Palatino e, raschiando via gli strati sedimentati del tempo, si occupa degli Horti farnesiani e di quel roseto sotto cui è sepolto, e che porta ancora il suo nome.
Perché Giacomo Boni non è solo un colto rappresentante dell’ambiente intellettuale degli anni a cavallo tra XIX e il XX secolo (nasce a Venezia nel 1859 e muore a Roma nel 1925), ma un uomo che ha riprogrammato e rivoluzionato il modo di intendere l’arte Antica e di comunicarla, di renderla parte della narrazione di un territorio. E che territorio, Roma! Per questo, fu elogiato da alcune delle più importanti figure della cultura anglosassone del mestiere, come John Ruskin o William Morris. Tra le sue amicizie ricordiamo anche Primo Levi e Alberto Carlo Pisani Dossi.
Nella mostra, curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Andrea Paribeni con Patrizia Fortini, Alessio De Cristofaro e Anna De Santis, è quindi possibile vedere ogni parte della sua personalità, dalla passione per l’archeologia agli interessi eterogenei che aveva. Soprattutto, è possibile ammirare l’operato di Giacomo Boni, di colui che ha riportato in auge l’Antico, facendone uno spunto per la corrente dell’arte simbolista che proprio nel Novecento avrebbe preso piede.
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