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Feste, i romani amavano le feste, per questo ogni 7 febbraio festeggiavano i Fornicalia, per la dea Fornace. Di che si trattava? E che ruolo aveva il pane nell’antica Roma? Quante tipologie ne esistevano?
Duravano più di una settimana i festeggiamenti di quest’antica cerimonia romana, dedicati ad una speciale dea. Ma chi era? E perché si festeggiavano? Festività dedicata ai fornai (a Roma, esiste l’unico monumento al mondo alla loro arte) e ai forni per cuocere il pane, i Fornicalia erano una festa religiosa romana dedicata alla dea Fornace, custode del buon funzionamento dei forni, per la cottura del pane. Pare che, a introdurre questi giorni, che vedevano la loro fine in coincidenza dei Quirinalia (il 17 del mese) fu Numa Pompilio, il secondo dei sette re di Roma. Che importanza aveva il pane, per gli antichi romani? E di quali tipologie di pane stiamo parlando?

(Fonte: Facebook)
Fino al III secolo a.c. i romani accompagnavano i pasti con una pietanza chiamata puls. Si trattava di una sorta di polenta di frumento mescolata e cotta con acqua e latte. Nelle case più modeste, i cereali erano consumati come pappa o sotto forma di pizzette senza lievito. Soltanto nel II secolo a.c si hanno fonti sull’uso dei lievitati e, fra questi, il pane.
Via via il pane assunse sempre più una posizione di rilevata importanza. Non serviva soltanto a sfamare il popolo, ma diventava essenziale in caso di guerriglie. Se in tempo di pace erano i legumi a fare da protagonisti, nella dieta del contadino, in tempo di guerra diventava necessario mangiare il pane che, di facile consumazione e trasporto, rappresentava il cibo prediletto dai soldati. La stessa cittadinanza era legata al pane, perché un contadino diventava cittadino soltanto nel momento in cui poteva essere mobilitato. Dunque, nel momento in cui, iscritto alle liste dei possibili soldati, riceveva il grano.

(Fonte: Romano Impero)
Così, il frumento non solo era visto come ottimo rimedio a penuria e carestie, ma come alimento base dei viaggiatori che, proprio da esso, ricavavano forza ed energia. A questo, poi, andava aggiunto il ruolo di peacekeeping (diremmo oggi) del pane. Perché distribuire il pane equivaleva a mantenere le acque tranquille, all’interno della città, a contenere le rivolte sociali e a garantire l’ordine pubblico. A questo proposito, quindi, risulta chiara l’importanza della promulgazione di leggi in merito. Come la Lex Sempronia frumentaria di Caio Gracco, volta alla distribuzione di grano a prezzo fisso, e la successiva Lex Clodia, atta alla sua ripartizione gratuita.
Sebbene, le classi meno abbienti erano solite preparare il pane in casa, la realizzazione del pane non tardò a trasformarsi in un vero e proprio mestiere. Così, a Roma nacquero presto numerosi pistores e pistrinae, cioè fornai e panetterie. Le tipologie di pane in vendita cambiavano a seconda degli usi che se ne facevano, del modo in cui veniva cotto o degli acquirenti finali. Si aveva allora il panis siliginaeus che, più pregiato, veniva consumato dai ricchi e il panis cibarius, secundarius o plebeius che, invece, poteva essere alla portata di tutti. Con la farina integrale si realizzava poi il panis rusticus, utile ad accompagnare zuppe o minestre.

(Fonte: Labyrinth)
In base all’utilizzo, si avevano, ad esempio: il panis militaris, appositamente duro, per conservarsi meglio nelle tasche dei soldati; il panis nauticus, una sorta di galletta a lungo periodo, per i marinai; il panis hostearus, per accompagnare le ostriche; il panis picenus, il più conviviale, fatto con uva appassita e cotto in un coccio che poi si rompeva a tavola; la pinsa, una specie di focaccia impastata con cereali poveri e nata proprio fra i contadini; e, in conclusione, il panis furfureus destinato agli animali, in particolare ai cani e impastato con la crusca. Ovviamente anche la cottura prevedeva numerosi metodi: il pane poteva essere cotto su di una piastra, dentro un forno, su una campana di terracotta, sotto la cenere o su un vaso rovente. Altresì poteva essere cotto, soprattutto per i soldati, nei forni da campo o nei clibani, cioè in delle teglie.
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