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Quanti schemi possono formare i mosaici romani? All’osservazione, la loro simmetria e le loro numerose tipologie, fanno pensare ad una quantità illimitata, ma è davvero così?
La scoperta relativa al numero degli schemi decorativi possibili, mediante la tecnica del mosaico, fu portata alla luce soltanto agli inizi del Novecento. Gli esperti non presero in considerazione solo le opere dell’antica Roma, ma ogni altro mosaico della capitale, compresi i bellissimi collage medievali opera dei Cosmati, di cui abbiamo già parlato in un articolo qualche tempo fa. Al calcolo, ovviamente, non si sottrassero neanche gli ornamenti di altre zone dell’Impero romano che, storicamente, estese il suo dominio ben al di là delle sole regioni e provincie affacciate sul cosiddetto Mare Nostrum.
(Fonte: 123RF)
Il numero degli schemi, realizzati dai mosaicisti della capitale, sebbene si possa credere sia infinito, in realtà, secondo alcuni studi, equivarrebbe al numero diciassette. Questa è la cifra esatta di tutte le possibili combinazioni musive. E a confermarlo sono le ricche testimonianze culturali e artistiche, ancor oggi osservabili, prova di quel percorso matematico e di quella evoluzione del pensiero che gli stessi romani compirono, nel corso del loro florido sviluppo.
I primi mosaici apparirono a Roma intorno al III secolo a.C. e per una motivazione del tutto funzionale. I romani si resero conto infatti che, incorporare qualche scaglia di materiale lapideo, all’interno della terra battuta e del cocciopesto, ne aumentava esponenzialmente la resistenza. La conseguenza era la creazione di un impasto, dunque, particolarmente impermeabile, in grado di contrastare l’usura precoce della futura superficie. Successivamente, gli artefatti, basati su questa tecnica, presero il nome di opus musivi pavimentali.
(Fonte: Wikipedia)
Come sosteneva Vitruvio, questo procedimento, non solo era preferibile agli altri, ma implicava concetti matematici precisi, quello della simmetria e della commensurabilità. Solo con un adeguato calcolo simmetrico era possibile ottenere la corretta armonia delle parti, da cui la creazione di opere esteticamente notevoli. Ora, ripetendo un motivo all’infinito, un pattern, una tassellatura (tecnicamente parlando), secondo la regola delle traslazioni indipendenti, i risultati possibili erano soltanto 17. Insomma, nonostante il sostanzioso numero di tasselli colorati, la quantità dei loro possibili costrutti non cambiava. Ed è un caso curioso, il fatto di che fossero 17, se pensiamo alla valenza del numero 7 per l’immaginario romano.
Ora, questa abilità architettonica, declinata – nello specifico – nella realizzazione di complesse pavimentazioni, accoglieva questa legge geometrica, e il termine traslazione, senza investigarne le motivazioni di fondo, cioè di fatto la possibilità di arrivare alla composizione di un numero di schemi finito. E tuttavia questo non ne decretò mai la scomparsa. Seppure ignari delle effettive ragioni di questo numero a doppia cifra (il 17) i romani continuarono a progettare disegni e geometrie, soprattutto in epoca Imperiale, per moltissimi anni e avvalendosi di vere e proprie “squadre” specializzate, basate sulla divisione delle mansioni. In questo senso, le Terme di Caracalla, Villa dei Quintili o i siti di Ostia Antica, si fanno esempi lampanti di questa suggestiva tecnica compositiva. Ma cos’è esattamente la traslazione?
(Fonte: Pinterest)
Con questo termine si intende la forma base, dotata di regolarità, di un mosaico. In geometria euclidea, col termine traslazione si traduceva, più precisamente, il movimento di rotazione, lo spostamento su un piano di una determinata forma. Convogliando entrambi i significati, dunque, e osservando un mosaico era possibile incontrare una figura tassellata, in grado di ripetersi più volte, di traslare appunto, secondo uno schema fisso. Soprattutto, però, di traslare in due direzioni, indipendenti l’una dall’altra, come è possibile ammirare nel più antico opus scutulatum, a noi pervenuto, della Casa dei Grifi (antica abitazione repubblicana romana). Un pavimento composto di marmi policromi a formare cubi in prospettiva, sul colle Palatino, databile all’incirca II-I secolo a.C.
(Fonte: Pinterest)
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