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Furono i Romani, per primi, a dare valore al giorno in cui si nasce. Loro furono i primi a festeggiare il compleanno. Come si celebrava questo giorno speciale nell’antica Roma?
Di Roma si conoscono sempre le grandi gesta, le battaglie, le invenzioni. Ciò che spesso non si pensa, però, è che anche i Romani avessero la loro quotidianità, le loro usanze, il loro modo di vivere. Per questo, è poco comune farsi domande del tipo: che mangiavano i Romani? Come si vestivano? Oppure, festeggiavano i compleanni?
(Fonte: I Vitelloni)
A proposito di questo, allora, dovete sapere che secondo alcune popolazioni dell’antichità, per festeggiare il proprio giorno di nascita, bisognava far parte di un rango sociale piuttosto alto. Solo nobili, aristocratici, persone con importanti posizioni sociali, potevano festeggiare il proprio compleanno. Più si era potenti, poi, più fasto avevano le celebrazioni. In altre parole, questo anniversario non era una consuetudine per i popoli antichi, se non altro perché la qualifica di cittadino non era così importante. Ora, i primi ad invertire questa tendenza furono proprio i Romani. È nell’antica Roma, infatti, che nacque per la prima volta l’usanza di festeggiare il proprio compleanno, al di là della classe a cui si apparteneva. In sostanza, in maniera molto democratica.
Per l’occasione, si organizzavano vere e proprie feste private, e non solo per il capofamiglia, ma anche per un figlio o un fratello. Immaginate, una festa 18 anni Roma, una di quelle molto in voga oggi, per i ragazzi che arrivano alla maggiore età, e traslate questi festeggiamenti nell’antichità. Un po’ come per noi, anche per i Romani la festa assumeva le vesti di un momento di svago e di divertimento: una situazione piacevole e giocosa da passare insieme ad amici e familiari.
(Fonte: I Bar di Roma Antica)
Tuttavia, oltre la sola concezione d’intrattenimento, Roma legava al compleanno un significato più profondo del nostro. L’approccio diventava, infatti, leggermente diverso da quello che utilizziamo noi. In particolare, prendendo molto in considerazione le divinità, il festeggiato, durante il suo giorno, non onorava solo la propria nascita, ma cercava d’ingraziarsi il dio associato al mese in cui era nato, perché lo proteggesse per tutti gli altri mesi a venire. Circostanza dalla quale si poteva dedurre, tra l’altro, una suggestiva conseguenza, cioè che ognuno aveva la sua specifica divinità.
Così, tra vino, pietanze e bacchetti, ci si impegnava in sacrifici graditi al proprio dio di riferimento. Per il mese di giugno, ad esempio era la divinità Giunone. E ogni anno, nello stesso giorno, cioè durante il proprio compleanno, si rinnovava questa unione, a garanzia di cura e prosperità, da parte del dio per la propria vita. Invitati nella propria domus parenti e amici, il romano si occupava di organizzare, quindi, nei minimi dettagli il rituale del suo festeggiamento. Per il quale, tra l’altro, non si ricevevano doni, ma si facevano.
(Fonte: vociantiche)
Per apparire gradito agli occhi della divinità, infatti, era il festeggiato a fare regali ai propri commensali, utili anche a ringraziarli nel caso di aiuti ricevuti durante l’anno. L’unico aspetto negativo, di cui ci stupiamo poco vista l’epoca, era che questo trattamento apparteneva solo agli uomini. Le donne erano escluse dalla possibilità di festeggiare il proprio compleanno (bisognerà attendere il Medioevo), e dunque dall’onorare il patto con il proprio dio o la propria dea di riferimento. E, tuttavia, ancora una volta, fu Roma a farsi pioniera di questa circostanza, trovandosi di nuovo nella posizione di città e cultura più moderna e avanzata dell’antichità. Stavolta, per una cosa così celebre per noi, come il compleanno, e invece non così scontata per le popolazioni antiche!
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