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Proseguiamo con la rubrica “divinità di Roma”, presentandovi Nettuno, il dio col tridente sempre in mano. Chi era e come nasce il suo culto nella capitale?
Faceva parte dell’olimpo romano, cioè delle divinità più importanti di Roma, quelle che componevano la mitologia e le leggende di questa antica civiltà. Stiamo parlando di Nettuno, trasposizione romana del Poseidone greco (o, per alcuni con qualche variazione, del Nethuns etrusco) e dio delle acque. Ovvero, colui che era in grado di governare non solo la forza dei mari e degli oceani, ma tutte le creature che li abitavano. Ritto in sella al suo carro, trainato da cavalli bianchi, Nettuno controllava le acque a suo piacimento e a sua volontà, brandendo nella mano destra lo strumento del suo potere, il Tridente, una sorta di enorme forcone a tre punte.
(Fonte: Nautica Report)
Solitamente associato a situazioni pericolose, se non altro perché la sua gestione del mare era proporzionale alle sue emozioni e le sue emozioni erano sempre instabili, questo dio era particolarmente temuto e rispettato dai cittadini dell’Urbe. Molte erano infatti le credenze associate al culto di questa sorprendente divinità, nata primogenita dal dio Saturno e dalla dea Ops, dunque fratello di Giove e di Plutone. Gli stessi coi quali, più tardi, sconfisse il padre per liberare il mondo dalla sua stringente tirannia.
Dato che poi buon sangue non mente e al lupo je levi er pelo ma non il vizio, come un altro suo familiare – di cui non faremo il nome, perché a quest’ora dovreste già saperlo – anche Nettuno poteva vantare una prole piuttosto numerosa, soprattutto a fronte di relazioni extraconiugali. Incline anche lui alle scappatelle, nonostante fosse sposato con Salacia, dea dell’acqua salata e custode delle profondità dell’oceano, il dio poteva vantare in giro almeno altri 11 figli, oltre ai celebri tritoni, mostri marini avuti col suo matrimonio. In particolare, ci riferiamo a: i sette pargoletti avuti con Halia; il ciclope Polifemo (si, quello di Ulisse, ndr) avuto dalla ninfa marina Toosa; Arione, generato con Cerere; e i due figli, Pegasus e Criasor, nati dal legame con Medusa.
(Fonte: pinterest)
Stando, inoltre, al testo Sulla natura degli dei, redatto da Cicerone, era così che il poeta ne descriveva l’origine del nome: «Il primo regno, cioè il dominio su tutto il mare, fu affidato a Nettuno […] il cui nome è un ampliamento del verbo nare». Dal verbo latino “nare”, cioè “nuotare“, si immaginava infatti Nettuno risiedesse in parte nell’Olimpo, in parte negli abissi marini, insieme alla sua famiglia:
«Abita sull’Olimpo insieme ad altri dei, ma spesso scende dall’Olimpo verso l’oceano: infatti ha uno splendido domicilio nell’oceano presso l’isola Eubea e li siede con le ninfe marine sul trono d’oro e tiene il tridente, simbolo del suo potere. Quando le onde del mare sono agitate e turbate dalla violenza dei venti, i marinai invocano Nettuno, il dio sente i marinai devoti e porta un immediato aiuto: infatti subito accorre con i cavallucci marini attraverso le onde, allontana i venti con il tridente, placa la tempsta e rende il mare tranquillo»
I romani onoravano il dio Nettuno, ogni 23 luglio, con le festività delle Neptunalia, anche dette Nettunalia. Una serie di cerimonie, volte alla commemorazione del dio delle acque, e dell’irrigazione, che prendevano avvio previa organizzazione di lunghi comizi. Ciò che sappiamo, tuttavia, sulla dinamica delle celebrazioni non è molto.
(Fonte: Wikipedia)
Per un verso, pare che i romani costruissero, mediante l’utilizzo di alcuni rami, delle capanne (dette umbrae), per svolgervi all’interno i dovuti rituali; per altro verso, a detta sempre di Cicerone, Nettuno era soprattutto «venerato dagli abitanti delle roccaforti marittime e delle isole» nelle quali gli erano «sacrificati cavalli e tori […]» e gli erano «edificati templi ed altari sulle spiagge». Quel che è certo, infine, è che nelle vicinanze di Roma gli venne dedicata un’intera città, quella che tuttora porta il suo nome: Nettuno. E che vennero eretti in suo onore un Tempio al Campo Marzio; una Basilica nei pressi del Pantheon, andata distrutta con l’incendio di Tito del 79 d.C, le cui spoglie vennero riutilizzate da Papa Niccolò V per ornare il Vaticano; e delle terme ad Ostia.
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