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13 febbraio 1633 – Iniziava a Roma il processo a Galileo Galilei, accusato d’eresia dalla Chiesa cattolica. Sapete perché?
A mettersi contro le credenze della Chiesa, in passato, non si finiva tanto bene: studiosi, matematici, astronomi, letterati o filosofi potrebbero confermarlo. Non era soltanto l’Indice Paolino, istituito dalla Santa Sede e controllato dall’istituto dell’Inquisizione, il problema; non erano soltanto i libri, ad essere inseriti in una lista e ad essere proibiti, il problema; erano gli autori di quei testi, di quei trattati o di quei calcoli, spesso, a rimetterci le penne (non solo quelle con cui scrivevano). E la motivazione era sempre la stessa: stai a dì cose che vanno contro i dettami der Vaticano e se sa che er papa c’ha la verità in tasca. Stavolta, era il fisico Galileo Galilei a sfidare la Chiesa e la sua teoria geocentrica dell’universo (anche detta, tolemaica). In pratica, sosteneva la Chiesa: la Terra era al centro dell’universo e il sole gli girava intorno. D’altra parte, sempre secondo il credo, c’aveva creati dio a sua immagine e somiglianza, non poteva metterci ad un angolo, la Scrittura lo confermava.

(Fonte: Wikipedia)
Ora, all’interno della Curia erano due i maggiori Ordini tutelari della cultura scientifica e teologica: l’Ordine dei gesuiti, che vantava nelle sue fila numerosi matematici e fisici, e quello dei domenicani, fedeli all’insegnamento dottrinario di san Tommaso, dunque sospettosi di ogni novità che, in qualche modo, potesse opporsi a quella metafisica. Così, se in un primo momento, i gesuiti si mostrarono aperti di fronte alle nuove scoperte astronomiche di Galileo Galilei, lasciando ai domenicani l’infausto ruolo di decisi oppositori, proprio il loro atteggiamento poco dopo si rovesciò. Sebbene i domenicani, infatti, autorizzarono la pubblicazione del testo di Galileo Galilei, i gesuiti denunciarono in blocco il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1932), avviando a Roma, il 13 febbraio 1633, uno dei processi più famosi della storia.

(Fonte: Wikipedia)
Tra le pagine dell’opera, il fisico, non solo metteva in discussione il geocentrismo, appoggiando la teoria eliocentrica (ipotesi espressa nel 1533 dal De revolutionibus erbium celestium di Niccolò Copernico) ma dichiarava apertamente il movimento della Terra intorno al sole, quello che più tardi avremmo chiamato moto di rivoluzione. Ché erano le maree a dimostrarlo, sosteneva Salviati, presentato come il più intelligente e saggio dei tre protagonisti del libro, nonché l’unico, fra Simplicio e Sagredo, ad asserire la Teoria copernicana.
Qualche tempo dopo, fu pronunciata a Galileo Galilei la sentenza. L’uomo venne condannato per eresia e obbligato all’abiura, ovvero alla negazione delle sue ipotesi. L’accusa era chiara, secondo la Santa Sede Galilei era colpevole di aver dato «per argomento di verità che passino i tolemaici ai copernicani, e non e contra; e di aver mal ridotto l’esistente flusso e reflusso del mare nella stabilità del sole e mobilità della terra, non esistenti». Ovviamente, a più riprese, Galilei cercò di difendersi e di proteggersi, persino misconoscendo il suo scritto. Ma questo non fermò il verdetto:«acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, e sii più cauto nell’avvenire e essempio all’altri che si astenghino da simili delitti […] ordiniamo che per publico editto sia proibito il libro de’ Dialoghi […] (e) ti condanniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro».
Il padre del moto terrestre fu insomma costretto ad abiurare, a ripudiare di fronte ai giudici, «con cuor sincero e fede non finta» la sua teoria. «Abiuro» disse «maledico e detesto li suddetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa».

(Fonte: Filosofia e Scienza -)
Poco dopo, la condanna fu tramutata in arresti domiciliari, costringendo Galieo a scontare i suoi giorni presso villa Il Gioiello ad Arcetri (Firenze), luogo in cui resterà fino alla morte, ma è vero che proprio durante il processo Galileo Galilei pronunciò la celebre affermazione: «E pur si muove!» ?
Probabilmente lo esclamò a bassa voce fra sé e sé o forse non lo fece mai. Tuttavia, non è dato sapere con certezza se il fatto avvenne oppure no. Sebbene ripetutamente menzionata in ricostruzioni narrative e teatrali, la frase, infatti, non fu mai confermata da alcuna testimonianza diretta. Tranne nel 1911, quando, nel corso del restauro di un quadro (verosimilmente, di quegli anni) sulla carcerazione del Galilei, nascoste da un precedente intervento di ridimensionamento della tela, furono riportate alla luce delle parole. Recitavano «E pur si muove» ed erano state dipinte dal Murillo (o almeno a lui è attribuito) sul muro della prigione.

(Fonte: Scientific America Blogs)
Il fatto, per quanto incredibile, non eliminò i sospetti sull’episodio. Ancor oggi piuttosto discusso, l’episodio continuò a nutrire numerosi dubbi, ma contribuì a porre l’accento sull’epocale trasformazione scientifica che di lì a poco sarebbe stata compiuta, per merito (anche) di Galileo Galilei!
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