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Lucio Dalla, "La notte dei miracoli" e il suo rapporto con Roma

foto di: Immagini prese dal web

Nel 1980 vide la luce uno dei più celebri capolavori di Lucio Dalla. Il titolo era “La sera dei miracoli”: un inno a Roma, alla sua gente, alle sue strade affollate e ai suoi vicoli silenziosi. Oggi, l’autore di brani intramontabili del calibro di Futura, Disperato erotico stomp e Piazza Grande, avrebbe compito 78 anni. A noi piace ricordarlo così…  

Mi sembra di sentire il rumore di una nave sulle onde

Si muove la città, Lucio, non ha mai smesso di farlo, con le piazze, i giardini e la gente nei bar. Galleggia ancora, come l’avevi descritta tu. Tu, che a Roma avevi passato gli anni più salienti della tua vita, dando forma a tutte le tue idee. Tu, che l’avevi disegnata in quelle parole e ne avevi fatto un quadro tanto bello, da rubarci ancora il fiato. Tu che tornavi e ritornavi ancora, ché Roma era un mare aperto, pieno di vele e navi pronte ad approdare; i suoi quartieri, porti rassicuranti. Non avrebbe mai smesso di aspettarti. Tu, che infine gettasti la tua àncora nella meravigliosa Trastevere dei sogni e dei miracoli e lì, nei suoi vicoli stretti, Babele di turisti e voci, trovasti riparo, in quel famoso Vicolo del Buco numero 7. Oggi, in quel luogo, campeggia una targa in tuo onore: un avviso ai passanti che s’avventurano fra i suoi sampietrini e i suoi rampicanti.


(Fonte: Il Mattino)

Non recita solo un verso, di quel gioiello che nel 1980 regalasti a Roma: dipinge la poesia di una città magica, in cui colori, opportunità, scelte e nostalgia si mescolano, e tutto prende vita. «È la notte dei miracoli, fai attenzione, qualcuno nei vicoli di Roma ha scritto una canzone».

Ma questa sera vola, le sue vele sulle case sono mille lenzuola 

Così parlavi di quella notte sul Lungotevere, piena di coppiette innamorate e truffaldini, di festa e di canti. Così, t’era sembrato quel cielo, pieno di stelle in cui perdersi e in cui cercare la tua, per non farlo. Tu, che in mezzo a tutta quella corrente in movimento, in mezzo a tutti quei passi, t’eri fermato, per mettere nero su bianco le tue emozioni e farne un dono altrettanto eterno: Gesù bambino di un 4 marzo del dopoguerra, affascinato dall’Estate romana e dai suoi profumi. E d’altra parte, «Era la Roma di Nicolini», avevi detto in un’intervista, «una città unica al mondo, un palcoscenico straordinario» in grado di unire ogni classe sociale; un luogo in cui «non c’è contrasto, c’è voglia di stare insieme».

Questo era Roma, per te: la musa di un legame che andava ben al di là delle tue canzoni; la città protagonista di amicizie che non avresti mai perso. Come quella co’ il principe, come amavi chiamarlo tu: il cantautore romano Francesco De Gregori, col quale incisi, nel 1978, Ma come fanno i marinai. Avrebbe fatto parte dell’LP Banana Republic, un disco e un tour di coppia, che avrebbe riscosso un incredibile successo. Ed è proprio lì, durante le prove estenuanti di quella vostra tournée all’interno di uno stadio, che nacquero pure gli Stadio.

Da Grande figlio di puttana a Caruso

Nello stesso periodo Verdone ti dedicò la sua prima pellicola, Borotalco. Per l’occasione, ne composi la colonna sonora, con Gaetano Curreri e Giovanni Pezzoli. Grande figlio di puttana vinse il David di Donatello e il Nastro d’argento, per la miglior colonna sonora originale. Non eri a Roma quando scrissi, invece, la struggente Caruso, qualche anno dopo, ma non possiamo non ricordarla, anche se enumerare ogni tua opera – bisogna dirlo – sembra quasi impossibile e forse lo è. Basti pensare a Cara, Anna e Marco, Attenti al lupo, Stella di mare, Come è profondo il mare o Telefonami tra vent’anni!


(Fonte: Wikipedia)

Ragno, come ti avevano soprannominato i tuoi colleghi, non hai fatto parte della musica italiana, tu l’hai costruita, insieme a qualcun altro, e questo non avrà mai pari. Senza apici, senza picchi e senza cadute, sei rimasto sempre lì, in alto, insieme a tutte le tue fantastiche sonorità; protagonista di una continua ricerca musicale, che se “ricerca musicale” volesse un altro nome, prenderebbe il tuo. Per questo, Quale allegria Lucio, quando ci hai lasciato, «senza nemmeno avere la soddisfazione di averti per vederti andare via», quel terribile 1° marzo del 2012, a tre giorni da oggi, a tre giorni dal giorno in cui eri nato? Nessuna.

Grazie per la tua inestimabile eredità Lucio. Tanti auguri, ovunque tu sia! La tua musica è qui con noi, sempre, perché “Tu non ci basti mai!”