Alla scoperta dei dintorni di Marmorata/Gelsomini
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Nel cuore di Roma, all’interno dell’antico Foro Boario, sorge una residenza medievale che ha una storia davvero curiosa…
Un tempo sul Tevere si ergevano dei grandi mulini, e proprio per questi Niccolò, figlio di Crescenzio e di Teodora, decise di costruire qui la sua casa. Così, sulla base di una torre del XII secolo, edificò una residenza, utile a controllare gli antichi giganti a pale e il ponte Emilio (il “ponte rotto“) da cui la famiglia riscuoteva un pedaggio.
La casa sorgeva allora all’interno dell’antico Foro Boario, nel rione Ripa, dove si può vederla tuttora. Non stupiva più di tanto il suo stile medievale: l’epoca era quella. A dirla tutta, fino al 1930 il contesto urbanistico in cui era inserita ne faceva quasi una struttura tra le altre. Tuttavia, a guardarla oggi, inserita tra il nuovo palazzo dell’Anagrafe e il Tempio di Portuno, le sue architetture attirano davvero l’attenzione.
Costruito fra il 1040 e 1065 sappiamo che il palazzo fu progettato da un certo Niccolò. A renderlo noto una lunga iscrizione, che ancora oggi campeggia sulla cornice curvilinea del portale d’ingresso e che, dettata pare dallo stesso, riporta (tradotta dal latino):
«Nicolao, a cui appartiene questa casa, non fu ignaro che la gloria del mondo non ha nessuna importanza di per sé; non fu la vanagloria a spingerlo a costruire questa casa, ma per rinnovare l’antico decoro di Roma. Nelle belle case ricorda i sepolcri e sii sicuro che non resterai lì a lungo, la morte viene con le ali e per nessuno la vita è eterna; la nostra permanenza è breve e il suo corso è leggero. Se fuggissi dal vento, se chiudessi un centinaio di porte o comandassi un migliaio di guardie, non ti sdraieresti senza la morte. Se ti chiudessi in un castello vicino alle stelle, lì è solita prendere chiunque lei voglia. Così sorge questa sublime casa, la cui struttura il grande Niccolò, primo fra i primi, costruì delle fondamenta per rinnovare il decoro dei suoi genitori, Crescenzio, suo padre, e Teodora, sua madre. Il padre costruì questo illustre edificio dedicato allo stimato figlio Davide».
La casa fu dunque costruita come un omaggio all’antica potenza di Roma, e alle sue bellissime spoglie. La stessa costruzione incorpora numerosi stili. Tra le sue pareti sembrerebbe si trovino anche i resti di un bagno d’origine bizantina. La sovrapposizione di elementi di altre epoche è evidente anche nei capitelli, nelle mensole e nel cornicione. Probabilmente, la storia sedimentata, e visibile negli strati architettonici che la compongono, fa di questa residenza un luogo di molte ristrutturazioni.
È curioso che, prendendo in prestito un termine latino dall’effige, ovvero “mansio“, molti cominciarono a chiamarla Tor Monzone. La scelta del modo in cui chiamare questa residenza, però, non si ridusse solo a questo appellativo. Fu definita erroneamente Casa di Cola di Rienzo, a causa della somiglianza tra il nome dell’autore, Niccolò di Crescenzio e Cola di Rienzo; e anche Casa di Pilato, per via di alcune rappresentazioni della via Crucis che la vedevano come la casa, appunto, di Ponzio Pilato.
Curioso fu poi come venne utilizzata. Nel XV secolo pare che l’edifico fu adibito a stalla, con fienile annesso. Fino a quando fu acquistato dallo Stato pontificio e ceduto al Comune di Roma, che dal 1939 ne fece il Centro di Studi per la Storia dell’Architettura. Infine, poco distante da questa casa, sorge una delle attrazioni più suggestive di Roma, cioè la Bocca della Verità.
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