Con “Il grido interiore” Munch approda a Palazzo Bonaparte
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Nonostante a Roma una delle divinità più importanti fosse Marte, il dio della guerra, anche Venere, che con lui aveva una relazione come vedremo, era molto lodata. A lei infatti era dedicato il tempio più grande di tutta la Capitale dell’impero, vediamolo insieme.
Ci sono almeno due versioni del mito di Venere, entrambe molto famose e una raffigurata da uno dei più grandi artisti del Rinascimento, Sandro Botticelli. La prima versione, è riportata dal grande poeta greco Esiodo: Saturno – dio molto venerato a Roma, a cui erano dedicati i Saturnalia – figlio di Urano, per vendicare Gea, sua madre, tagliò i testicoli di suo padre che dal cielo, inevitabilmente caddero nel mare. Il sangue e il seme si mischiarono all’acqua marina, generando quindi la schiuma, che accumulatasi sulle rive dell’isola di Cipro diede vita a Venere, anche detta dai greci, Afrodite. L’altra versione invece è riportata da un altro grande poeta greco, che ha narrato le gesta di Achille e Ulisse, Omero. Secondo quest’altra elaborazione del mito, Venere invece sarebbe la figlia del grande boss degli dei, Giove, che unendosi a Dione, ninfa degli oceani, diede vita alla dea della bellezza, che in questo caso nacque all’interno di una conchiglia.
La bellezza della dea era veramente incredibile e faceva perdere la testa a uomini e dèi. Così per non creare troppa discordia, er boss dei boss, er capo dei capi dell’Olimpo, decise di darla in sposa a Vulcano, il fabbro degli dèi, zoppo, abbastanza bruttarello, ma ‘n tipetto co’ la testa a posto, che pensava solo a lavorà. Il matrimonio, come possiamo prevedere, nun è che andò un granché bene, così la donna girò lo sguardò verso altri lidi e tra le divinità più irresistibili dell’Olimpo c’era quer gran figo de Marte. Così iniziò una delle love story più famose dell’antichità, con Vulcano che non la prese molto bene, tanto da incastrarli in una rete metallica e lasciarli deridere da tutti gli altri dèi. La bellezza della dea era irresistibile, ma alla fin fine anche lei aveva qualche difettuccio, diciamo così, come il famoso strabismo o le fossette. In tutto erano sette, vediamo quali erano:
Venere a Roma era tenuta molto in considerazione, tanto da essere dedicato a lei il tempio più grande di tutta la capitale. A deciderne la costruzione e a mettere su carta il suo progetto fu l’imperatore Adriano, che decise di farlo sorgere nella parte est del Foro romano. Nei lavori di preparazione per la costruzione del tempio, Adriano dovette far spostare, con l’aiuto di 24 elefanti la statua dalle dimensioni colossali dell’imperatore Nerone, che venne poi ridedicata al Dio Sole. Le dimensioni del tempio erano veramente gigantesche: 145 metri di lunghezza e 100 di larghezza; tutto intorno al tempio correvano anche due file di colonne che preparavano l’ingresso all’area più sacra. La costruzione era talmente grande che si riuscì a colmare il dislivello presente tra il Colosseo, posto più in basso e la cima più alta del Foro. Il tempio infine oltre che alla dea della bellezza era dedicato anche a Roma Eterna, compito quest’ultimo che a quanto pare è stato assolto.
Infine un’ultima curiosità su questa dea ce la regala il nostro caro Giulio Cesare. Infatti la gens a cui apparteneva uno degli antichi romani più famosi al mondo si diceva discendesse proprio da Venere. Le origini della gens Iulia risalivano alla città di Alba Longa e dal racconto che Virgilio fa nella sua Eneide, questa antica famiglia discendeva da Iulo (o Ascanio), figlio di Enea, figlio diretto di Venere e Anchise, cugino del re di Troia Priamo.
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