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Hemingway arrivò a Roma nell’estate dei suoi sessant’anni. Non era la prima volta: lo scrittore Premio Nobel americano conosceva bene l’Italia, ma soprattutto l’ospitalità romana…
Il 6 aprile del 1917, nel pieno della prima guerra mondiale, gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Quando Hemingway decise di arruolarsi, come volontario al fianco dei suoi connazionali, aveva appena compiuto la maggiore età. Insieme a lui, altri giovani aspiranti scrittori avevano deciso di andare al fronte, letterati del calibro di Francis Scott Fitzgerald (autore de Il Grande Gatsby, 1925) e William Faulkner (penna di L’urlo e il furore, 1929).
(Fonte: Wikipedia)
Tuttavia, a causa di alcuni problemi alla vista, Hemingway fu inserito come autista nei servizi di autoambulanza dell’ARC, acronimo di American Red Cross (la Croce Rossa Americana), destinati ai feriti in suolo italiano. È per questa ragione che arrivò la prima volta in Italia, approdando nella città di Schio.
Il Premio Nobel per la letteratura statunitense (dal 1954), vincitore del Pulitzer nel 1953 per il meraviglioso racconto Il vecchio e il mare, rimase talmente colpito dal nostro paese che da quel momento v’avrebbe rimesso piede una miriade di altre volte, per visitarlo.
Ovviamente, tra le tappe dei suoi numerosi viaggi in Italia, non mancò di fare qualche capatina a Roma. In particolare, c’è un aneddoto abbastanza celebre e divertente, su uno dei suoi soggiorni nella capitale, intorno agli anni ’50. Durante un suo viaggio a Roma, pare che Hemingway amasse recarsi tutti i giorni a mangiare nella stessa osteria, una locanda romana poco lontana dal centro e da Villa Borghese, in via Sardegna (dove si trova ancora il suo tavolo a mo’ di cimelio). Ora, come è noto, l’apparenza dello scrittore americano, con barba lunga e abiti trasandati, stile poeta maledetto per intenderci, poteva spesso ingannare la sua reale posizione di scrittore di fama mondiale, facendo credere tutt’altro a chi lo osservasse.
(Fonte: The vision)
Ed esattamente questo avvenne a Roma. Convinto si trattasse di uno straniero qualsiasi, anzi quasi di una sorta di rifugiato politico, di barbone in cerca di asilo, il proprietario della locanda, ignaro di chi aveva di fronte, più di una volta evitò di proporre piatti troppo elaborati o costosi, togliendo persino qualcosina dal conto finale. Finché un giorno, all’ennesima cena di Hemingway, sempre nello stesso angolino, caso volle entrò nella trattoria Vittorio De Sica. Come potete immaginare, il regista richiamò tutta l’attenzione su di sé.
Una volta uscito, però, un giornalista che, nel frattempo, si era goduto la scena e gli schiamazzi, chiamò il proprietario, chiedendo se qualcuno si fosse accorto che, insieme a De Sica, nella sala era seduto un premio Nobel, proprio nell’angolino. Il proprietario, pensando ad uno scherzo, chiese di non prenderlo in giro, ché quello era un tipo che andava spesso a mangiare lì e che, anzi, per la simpatia che gli faceva, riceveva pure qualche prezzo di favore. E, tuttavia, la risata spontanea e fragorosa del giornalista, all’inconsapevolezza dell’uomo, tolse ogni dubbio.
Nella trattoria c’era sempre stato Hemingway ma nessuno se n’era mai reso conto, neanche l’oste, e nonostante le foto e le immagini sui rotocalchi! Tutto all’improvviso si fece chiaro, allora. E certo che tornava: co’ du’ piccioni ‘na fava. Oltre alle ottime proposte di cibo della tradizione romana e alla possibilità di passare inosservato, quindi di non farsi disturbare come De Sica, lo scrittore aveva pure il prezzo ridotto, che voleva di più?
(Fonte: Trentino cultura)
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